La storia culturale italiana, del Novecento in particolare, compone una particolare geografia del pensiero che tiene in territori limitrofi la scrittura poetica e quella critica. Ciò accade probabilmente – in contrasto con le forme del romanzesco – per una parentela che si avvale dell’evidenza dei fatti e a partire da essa li indaga. Edoardo Sanguineti è stato per uguale forza critico e poeta, fu lui stesso oltretutto a definire la poesia come “un sogno che uno fa al cospetto della ragione”, già dunque affinando questa vicinanza che in lui si risolveva in una quasi comunione. È dagli spunti e dalla penna di Sanguineti che Lino Guanciale in scena, Claudio Longhi alla regia, Luca Micheletti alla composizione drammaturgica dei testi, hanno tratto questo Prendi un piccolo fatto vero, monologo per un attore, cantante, chitarrista.
Proprio a partire da questo titolo si sviluppa il discorso attorno alla materia: la poetica di Sanguineti si articola attorno a questo verso, l’inizio di una ricetta che illustra il modo suo proprio di comporre e insieme educa non tanto alla composizione, quanto alla comprensione, coscienza di quella materia, ossia quel che c’è dentro il “piccolo fatto vero”. Lino Guanciale, divenuto Sanguineti nell’osmosi dell’artificio, tramite le sue parole attraversa il secolo Novecento di questo paese, da una cucina in cui prepara l’alimento per il corpo e insieme lo spirito, uniti nella necessità umana; dietro di lui i video che ripercorrono per immagini questo secolo dei grandi conflitti, delle enormi contraddizioni, della dispersione sociale negli interstizi del capitalismo fallimentare. Quello tra i video e l’attore è un dialogo muto: mentre la sua voce propone un piano di comprensione, il video approfondisce un altro livello, servendo così una pietanza – di nuovo nella loro metafora – giusta al gusto di ognuno.
Lo spettacolo indaga dunque ancora quell’esigenza educativa che Longhi sente con particolare urgenza – a giudicare anche dal suo ultimo La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht – e si fa portatore delle parole di uno degli intellettuali più lucidi (e che molto sentì questo tema), inscenando un percorso cronologico che non prende le mosse dalla biografia ma dall’opera dello scrittore. La sua regia è tutt’altro che fulminante, ma non deve esserlo, non ne ha bisogno: registi di questo genere sono l’opportuno contraltare a sperimentazioni vertiginose, tengono per mano certi risultati dell’arte proponendoli con rigore, senza necessità di sconfiggerli e sovvertirli. Lino Guanciale è invece sorprendentemente completo: recita, canta, suona sulla sua chitarra Gaber, Jannacci e i canti delle mondine in risaia, infonde vita a concetti di difficile esportazione, egregiamente facendone materia di gustosa commestibilità.
In ultimo un paio di riflessioni a margine. La prima riguarda il lancio straordinario che l’educazione passi senza remore proprio dal teatro, luogo ad essa deputato: resta lo spazio scenico l’opportunità ultima e primaria dove la capacità d’interazione (qui portata a conseguenze estreme e giocata con puntualità) concede i risultati migliori; la sala era infatti piena fino all’ultimo posto disponibile con un’età media ampiamente adolescente. In questa sala ho nutrito le migliori speranze per il teatro e questo paese. Secondo spunto è legato al potere dell’immagine non discussa, cui ci abitua la percezione televisiva: la verve dell’attore stimola il riso, il suo dialogo con la platea non si arresta mai, ma nel frattempo sullo sfondo l’immagine indugia su – fra le altre – un bambino terribilmente malformato dalla catastrofe di Chernobyl. Questo cortocircuito è devastante, sentimenti in contrasto si disperdono per il corpo e impongono la responsabilità dello sguardo prima che dell’azione; a provocare il brivido è la sofferenza – e dunque la vitalità – che questo spettacolo sa muovere.
Simone Nebbia
in scena 22 – 23 ottobre 2011
Teatro Arvalia [programma 2011/2012]
Roma
PRENDI UN PICCOLO FATTO VERO
Tratto dai testi di Edoardo Sanguineti
A cura di Claudio Longhi
Di e con Lino Guanciale