“Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II. Ora quei padri noi dobbiamo dimenticarli, dobbiamo smentirli. Quelli non furono nostri padri. Furono i seduttori di nostra madre e l’abbandonarono malamente e povera al margine delle loro strade; la buttarono fuori dalle loro carrozze e dai loro letti”. Con queste parole Paolo Volponi, scrittore e poeta tra i più illuminati del secolo scorso, esortava il Senato Italiano nel novembre 1984, in un discorso dal titolo L’Italia unita: da Leopardi a Cattaneo. Da queste parole ritengo sia necessario imporsi di partire, per raccontare cosa sia questo nuovo spettacolo di Ascanio Celestini, al debutto in questa stagione, dal titolo pro patria – senza prigioni, senza processi.
Nella minuscola del titolo è già molto del senso non certo nascosto che l’autore romano intende portare con sé in scena: un’Italia piccola, ottenebrata dalle proprie battaglie interne, figlia di relazioni adultere e immorali, meticcia Italia dei cromosomi di ogni potere forte che l’ha dominata, questa Italia va in scena con Celestini sì vituperata da un secolo che l’ha ridotta in catene, ma anche desiderosa di affermare la propria discendenza illustre, pur senza nascondere sanguinosi e crudeli risvolti, né le tante viltà che ne sono fondamento. Sullo sfondo di questo intento c’è un progetto più antico che chiude – dopo la fabbrica, i manicomi, i call center – la ricerca sull’istituzione che Celestini porta avanti dai suoi esordi: la prigione che a ben pensare è il simbolo immutabile di intere generazioni che hanno attraversato il nostro paese da prima che fosse una nazione fino ad oggi che una nazione non è più. Celestini, immaginando di preparare un “discorso”, si rivolge a Mazzini (come già era il cadavere dell’Italia per Daniele Timpano in Risorgimento Pop), con esso rivolgendosi al grande rimosso della costruzione unitaria, l’ideale tradito, il paradosso della celebrazione che coinvolge un reietto pluricondannato come il grande rivoluzionario genovese, forse l’unico Mazzini che questo paese oggi può capirlo, perché ne conosce le cause prime (o non ultimate).
La scelta stilistica è come sempre il monologo, alle spalle una scenografia composta di un pannello con affissi i manifesti del “discorso” che sarà, con il viso di Celestini di profilo, lui ultimo italiano che deve dirne cosa è stato fin qui, un comizio di chi resta alla fine di tutto e ne dovrà dichiarare fallimento. Lo spunto di partenza è quella grande avventura, subito sopita, che fu la Repubblica Romana del 3 luglio 1849 e se ne avverte il curioso sentimento, ad ascoltarne gli obiettivi e le idee, di trovarsi come di fronte a qualcuno che narri nel Paese dei Balocchi. “Affacciato alla finestra della storia” ne svela meccanismi vertiginosi, dando voce a un accorato canto popolare in grado di riannodare eventi che siamo abituati – visti da oggi – a subire: questo disegno dunque sviluppa la sensazione di trovarci – da Mazzini a Celestini – in un’autobiografia della Repubblica Italiana, ma vista dal carcere, il vero “cuore dello Stato”.
La scelta contenutistica di Celestini è dunque un arco che attraversa la storia italiana unitaria e afferma “tre Risorgimenti”, là dove se ne conosce uno: il primo è quello noto dell’Unità, il secondo è la Resistenza del secondo dopoguerra, il terzo è quello nostro, adesso, in guerra senza neanche saperlo. In quella guerra Celestini rintraccia una linea, quella del terrorismo e del carcere che lo riduce, suggerendo come un rimando (che ricorda il Martone di Noi credevamo) fra gli eroi cui si dedicano strade e i terroristi più recenti, a domandarsi fra tanti anni se non avranno la stessa sorte. Chi non vuole titoli è invece Mazzini, costretto a vedere il fantasma distorto della propria idea di patria, attraversando quelli che oggi ci propinano come 150 anni di storia, mentre sono ora 162 (dalla Repubblica Romana), ora 190 o 180 dai moti carbonari, e chissà quante date, quanti pezzi hanno fatto questa Italia a pezzi.
Una riflessione, in fondo, sulle opportunità di questo spettacolo, cui faranno bene tante repliche e un rodaggio affilato e che ad oggi è un meccanismo ancora da lubrificare: in un paese dove si pensa di vendere il patrimonio artistico e culturale aggirando leggi di tutela vecchie più dell’Italia stessa, riscoprire cosa ci ha portato qui – anche a costo che ci faccia molto male – è determinante. Così Celestini torna dunque a graffiare con una materia arrabbiata, quanto e più di lui che la svolge, ma non fa mancare quegli accenti poetici caratteristici della sua narrazione favolistica, riaffiorando parole in quella sua scenografia verbale in grado di dar vita a interi paesaggi soltanto narrandoli. Qualcuno parlerà, al solito, di retorica un po’ qualunquista, qualcuno che di certi discorsi non vuole sentir parlare e a Piazza Mazzini ci va a prendere il caffè ai tavolini, qualcuno che si terrà i discorsi di secessioni padane e le retoriche populiste su un’inesistente libertà; per tutti costoro: Mazzini esule, Mazzini stanco, Mazzini rivoluzionario condannato infinite volte fino a quasi 70 anni, non è certo quel vecchietto al tavolo di fianco. Giuseppe Mazzini, a Piazza Mazzini in questa Italia, non ci avrebbe mai messo piede.
Simone Nebbia
Prossime date della tournée di “Pro patria” – Ascanio Celestini
12 – 14 ottobre 2011 – Teatro Massimo, Cagliari
26 ottobre 2011 – Teatro Comunale, Casalmaggiore
8 novembre 2011 – Teatro Metropolitan, Piombino
9 novembre 2011 – Teatro Comunale Bucci, San Giovanni Valdarno
10 novembre 2011 -Teatro Comunale, Barberino di Mugello (Fi)
11, 12 novembre Teatro Puccini, Firenze
15 novembre 2011 Teatro Comunale Niccolini, San Casciano Val di Pesa
27 – 30 ottobre 2011 – Teatro Comunale, Ferrara [val al programma]
25 novembre 2011 – Teatro Astra, Vicenza [vai al programma]
2 – 4 dicembre 2011 – Napoli, Teatro Bellini [vai al programma]
11 gennaio 2012 – Savignano sul Rubicone (FC)
12 gennaio 2012 – Marsciano (FC)
13 gennaio 2012 – Gubbio (PG)
14 gennaio 2012 – Foligno (PG)
15 gennaio 2012 – Sinalunga (SI)
23-25 gennaio 2012 – Terni Teatro Secci
26 gennaio 2012 – Città di Castello (PG)
31 gennaio – 12 febbraio 2012 – Teatro Palladium, Roma [Programma]
19 febbraio 2012 – Spoleto (PG)
22 febbraio 2012 – Brescia Palabrescia
24-26 febbraio 2012 – Padova Teatro Verdi
1-2 marzo 2012 – Campi Bisenzio (FI)
3 marzo 2012 – Grottammare (AP)
4 marzo 2012 – Senigallia (AN)
8-11 marzo 2012 – Bologna Arena del Sole
17 marzo 2012 – Teatro Gentile, Fabriano [vai al programma]
18 marzo 2012 – Urbania (PU)
28 marzo 2012 – Castel Fiorentino (FI)
29-31 marzo 2012 – Genova Teatro dell’Archivolto
3 aprile 2012 – Roccabianca (PR)
11 aprile 2012 – Cervignano del Friuli (UD)
12 aprile 2012 – Udine Teatro Palamostre
16 aprile 2012 – Pinerolo
17 aprile 2012 – Fossano (CN)
18 aprile 2012 – Nichelino (TO)
19 aprile 2012 – Venaria Reale (TO)
20 aprile 2012 – Savignano (CN)
8 – 27 maggio 2012 – Piccolo Teatro, Milano [vai al programma]
Caro Simone, ho sempre l’impressione, che comunque quando si affronti il tema dell’ Unità e del Risorgimento non si abbia mai il coraggio, la luciditá e la conoscenza critica di questa parte di storia per ammettere che l’unitá e anche il Risorgimento repubblicano non siano un valore in sè. Pensare di essere fuori dalla retorica e dare giusta ricompensa al Risorgimento scegliendo di “partigianare” con quello mazziniano e quindi repubblicano credo che sia sempre la strada più facile e anche il modo per non metterlo in vera discussione, e così facendo si pensa sempre che parlare del Risorgimento, individuandone i pro e i contro in quello repubblicano sia un modo di fare e sentirsi per stare dentro una visone alternativa e anti alla retorica unitaria che ogni giorno ci spifferano. Penso, invece, che rimanere dentro il Risorgimento repubblicano e mazziniano rappresenti un modo per chiaccherare ancora di storia di regime. Mazzini è un personaggio storico(per niente rimosso) pieno di contraddizioni, troppo lunghe per spiegarle in questa sede, e utilizzarlo ancora e sempre come il vero rivoluzionario di un Risorgimento di cui poco veramente sappiamo, mi sembra una cosa davvero di carattere elementare. Inoltre, sento di prigioni, e non si fa mai nessun riferimento al fatto che tutto ha avuto inizio veramente nelle prigioni, ma con la grande bugia di lord Gladstone e a cui nessuno( a parte il sottoscritto)fa mai riferimento e cita per dare inizio a una riflessione nuova. Sento parlare di rivoluzionari risorgimentali( i repubblicani), di rivoluzionari-partigiani e rivoluzionari-terroristi degli anni 70. Ma ancora mai sento parlare di rivoluzionari-briganti, tranne rarissime eccezioni, se non sempre in chiave folcloristica, bugiarda e di regime. Allora quello che voglio dire è che l’argomento, ricco di tanti fatti alla fine invece è sempre quello povero di regime e di anti regime che sono la stessa cosa.
Caro Gaspare, il tanto parlare di Risorgimento fa ancorare a vecchie pratiche nostalgiche quanto invece è stato vivissimo e ampiamente contraddittorio. Proprio tu ti fai portatore di una storia che nasce indubbiamente sotto segni contrastanti e hai il merito oggi di far luce su tutto questo. La necessità è appunto quella di smetterla di raccontarci menzogne e riconsiderare per ciò che è un periodo fosco e complesso, cui forse si fa riferimento con troppa magniloquenza. Nel lavoro di Celestini io questo credo ci sia, l’ho trovato arrabbiato come speravo, diversamente magari dagli ultimi suoi lavori che palesavano invece un po’ più di indulgenza. Qui a mio avviso torna a lanciare un importante monito proprio al cedimento nostalgico: il Mazzini con cui parla è un tipo coraggioso ma non propriamente un eroe positivo a tutti gli effetti, ed è lui stesso a chiamarsi fuori – nel testo – dalle celebrazioni che portano il suo nome. Questo, per semplicemente corredare il tuo intervento e apprezzarne lo spirito di discussione tematica (e quindi denso di teatro, di arte), non certo per difendere il lavoro di Celestini che certo di me non ha bisogno.
Simone
non ho ancora visto lo spettacolo, lo vedrò il 7. Apprezzo comunque a prescindere l’intervento di Balsamo (anche se immagino possa considerarmi un connivente dell’antiretorica, pure se secondo me su questo punto ci sarebbe da parlarne insieme). Penso che il limite, forse inevitabile, di qualunque approccio al tema (il risorgimento) sia quello di esser costretti ad attingere o a tener presente, da un lato, le semplificazioni da sussidiario scolastico, dall’altro utilizzarlo per parlare del presente. Cosa questa che senz’altro anch’io ma senz’altro e senza dubbi, da quel che ne ho letto e da quel che lo stesso celestini ha detto alla conferenza stampa del palladium, fa anche e soprattutto lo stesso celestini. Il Mazzini un po’ salvato e come salvare, nella sua visione (almeno credo), un po’ la Resistenza e i valori della Repubblica italiana nata nel 46, ripescar la giovine italia e la repubblica romana (chiaramente semplificando la complessità di un discorso storiografico come senz’altro farà anche celestini) come ripescare le lotte degli anni ’70, armate e non, cosa che se non ricordo male celestini fa anche in una delle canzoni del suo album. Se questa cosa sia condivisibile non lo so. Mazzini però, si sa, anche per altri motivi, certo non trionfalistici, mi è molto simpatico 🙂
sempre più curioso. Ho appena letto l’articolo di Audino sul Sole 24 ore. Quello che mi pare meno convincente, come assunto ideologico, è l’idea celestiniana (che poi devo aver letto da qualche altra parte anche prima, forse virata in negativo – forse un articolo di galli della loggia?) delle tre rivoluzioni (mancate?) cioè risorgimento (ma più che altro repubblica romana, in quanto esperimento democratico, repubblicano, dal basso etc), resistenza e anni ’70 che mi convince fino ad un certo punto, o forse poco. E non perché mi stoni la lotta armata. Anzi. D’altronde proprio dal mito della resistenza tradita trassero qualche suggestione, spinta ideale e non solo, una forma di legittimazione, proprio gli ex “terroristi”, o almeno sono proprio molti di loro a raccontarlo (in primis il pessimo Franceschini). Era una forzatura credo anche lì, una mitologia legittimante di riferimento (certo un po’ sensata e un po’ forzata), ma la forzatura volendo farci rientrare la repubblica romana e mazzini è anche più grande. Forzatura che ha fatto anche Martone nel suo film sul risorgimento, scopertamente anche nel titolo e senz’altro nel tratteggiare proprio il personaggio di Mazzini, creando una relazione tra il post sessantotto e gli anni ’70 di lotta e l’ala democratico-repubblicana del risorgimento…
Vabbè, come al solito il discorso è lungo e io un po’ non lo so fare fino in fondo e un po’ a chi glie ne importa e un po’ non si può stare a commentare un articolo troppo a lungo… il web è veloce e superficiale, e io superficiale e veloce sono. Ci sentiamo scritti, semmai, dopo il 7.
Il discorso è troppo lungo e complesso per essere capaci a spiegarsi o a farsi capire e quindi non so se sono riuscito nel primo e non so se ci riuscirò ora in questo intervento. Ma, primo: io credo che l’unica antiretorica possibile al risorgimento é ammettere che l’unità repubblica, monarchica ecc ecc non é un valore in sè ma un invenzione classista e anti civile, e questo non ha il coraggio di dirlo nessuno( tranne Tresssicilie, ma infatti non lo capisce e non lo viene a vedere nessuno perché fuori da ogni possibile certezza ) per varie ragioni dirette e indirette. Secondo: si fa sempre di questi fatti di storia, dal Risorgimento addirittura fino agli anni settanta, una storia Italiacentrica(naturale, visto che non si ammette il non valore!) che invece cosi non è.parlare di risorgimento repubblicano, resistenza, anni settanta, lotta armata, salar,i sindacati, operai ecc ecc non è storia che riguarda l’Italia tutta, e fino a quando non ci si rende conto di questo si ha sempre un’ idea mancante e di regime.
be’ sì, se volevi accennare a questa problematica, è chiaro che si può tracciare ad esempio una linea di continuità con la sproporzione centro-nord del risorgimento e col fatto, ad esempio, che la lotta armata raramente è scesa sotto Napoli…
Ho visto lo spettacolo ieri sera: è pura propaganda filoterrorista. Il messaggio è esplicito e inequivocabile, i brigatisti degli anni di piombo sono eroi, come i rivoluzionari del risorgimento.
Sembra scritto da Cesare Battisti: parla di “tiranni”, di “sbrirri” “secondini-merda”, di “schiavi” che “eroicamente” si ribellano tirando le bombe alle “merde”, di “stato galera” che arresta manganella e censura i “ladri di mele” per non essere lui giudicato ( il processo logico è: lo stato non abbolisce le proprietà privata => non c’è un equa distribuizione dei beni => esistono i ladri => la colpa è tutta dello stato …ovvio… )
Mi ha colpito molto la reazione del pubblico, nessuno che avesse niente da ridire al riguardo, tutti felici e sorridenti che applaudivano uno spettacolo nazista.