Nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, vicino piazza San Marco e che è sede della Biennale, le colonne sono sei, erette nel grande ambiente sovrastato da una volta affrescata di stucchi e decorazioni floreali, ma con pochi austeri accenti sfarzosi. È invece al centro esatto del loro rettangolo che Paolo Baratta, presidente della Biennale, e Àlex Rigola, che dirige la sezione teatro, tributano a una ‘colonna’ del teatro internazionale come il regista tedesco Thomas Ostermeier il Leone d’Oro alla carriera, per aver saputo «combinare verità scenica ed artificio […], coniugare la popolarità con la qualità, ma è soprattutto un artista alla costante ricerca di nuove forme di comunicazione che l’arte effimera del teatro richiede continuamente».
La ‘premiata carriera’ di Thomas Ostermeier è stata fulminante: direttore a 31 anni di quell’importantissimo centro culturale europeo che è la Schaubühne, a Berlino. Ora è un regista che gira il mondo affinando del suo tocco le grandi opere classiche, da Ibsen a Shakespeare. Non fa mancare questo suo tocco nemmeno alla cerimonia di premiazione, rilasciando dichiarazioni importanti a proposito del primato tutto italiano della gioventù imperitura, mai ammessa all’età adulta delle arti, utilizzando come esempio proprio questo Leone d’Oro che, a suo dire, avrebbe dovuto essere consegnato a quei Rimini Protokoll, anche loro berlinesi, che l’hanno ricevuto d’Argento, affermando dunque la loro maturità e la necessità che un premio li aiuti in una crescita ancora maggiore. È proprio Ostermeier che meglio di tutti presenta la compagnia vincitrice del Leone d’Argento, elogiando la loro capacità di lasciare aperto in scena «uno squarcio sul mondo esterno», una discendenza dalla realtà che non dimenticano mai di tenere viva. Stefan Kaegi, uno dei tre direttori artistici assieme a Helgard Haug e Daniel Wetzel, è intervenuto ricordando quanto sia importante per loro il lavoro di gruppo e – a proposito dell’Italia – riconoscendo al nostro paese una vitalità e un’energia capaci di essere oggi particolarmente stimolante nel panorama contemporaneo.
Entrambi i registi, in fondo al loro discorso, hanno voluto dedicare il premio alle esperienze importanti che si stanno vivendo in questo periodo al Teatro Valle di Roma e al Teatro Marinoni proprio qui a Venezia: teatri occupati da artisti e lavoratori dello spettacolo. Le parole dei due registi tedeschi ne hanno premiato la capacità di produrre azioni e di intervenire, parole che ormai si sentono risuonare in un’esigenza collettiva e non più rinunciabile, in ognuno dei luoghi dell’arte, come un passaparola che supera i limiti di conoscenza, sotterra le differenze di classe, scioglie le lingue in un’unica, grande koinè. Parole straniere, molto spesso, o almeno parole lontane da questi luoghi e quindi figlie di una percezione a distanza, visione relativa ma non per questo fallace, soltanto è curioso non sentire con altrettanta forza di adesione le voci di chi vive l’ambiente artistico, culturale proprio di quelle due città.
Simone Nebbia
Articolo apparso anche su L’Ottavo Peccato – 41 Biennale di Venezia