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Atlante VI – Messa religiosa o messa in scena?

Sul concetto di volto nel Figlio di Dio - un momento dello spettacolo

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Estremisti. Se non ci fossero bisognerebbe inventarli. Supera i confini italiani Atlante, se ne va a Parigi dove nelle scorse settimane – al Théâtre de la Ville – ha debuttato uno spettacolo che noi abbiamo visto, discusso ampiamente, che ha lasciato molti interrogativi e grande sicurezza di tocco, a farci dire quanto – tra gli artisti contemporanei – Romeo Castellucci di Societas Raffaello Sanzio sia quello che maggiormente sta portando avanti un pensiero alto, indagando anche i rischi della rappresentazione e certi limiti della sensibilità. Quando debuttò Sul concetto di volto nel Figlio di Dio in Italia (leggi qui la recensione), nessuno s’è mai sognato di porre in relazione il volto del Cristo dipinto da Antonello da Messina, che dall’alto osserva i disfacimenti umani (talmente semplice da capire che il rischio è quasi di didascalia, ma non è che un’esagerazione per intenderci), alla scena dell’uomo brutalizzato da un’incontinenza che, per chiunque abbia esperienza di tarda anzianità o malattia, è forse il sintomo ultimo della morte imminente. Nella cura dell’uomo all’uomo, nello spazio bianco di appartenenza alla catena umana per l’attesa fine è la materia dello spettacolo. Cristo osserva da un telo dipinto, enorme, sopra il loro agire. Verso la fine poi una colata d’inchiostro, pagine scritte nei secoli dei secoli, portano alla disgregazione proprio quel volto, lo cancellano, rivendicando l’urgenza di una perduta spiritualità. Invece al debutto parigino, anzi da quel giorno ogni giorno, un gruppo di estremisti cattolici ha cercato di bloccare lo spettacolo incatenandosi di fronte ai cancelli per impedire l’ingresso, lanciando fumogeni e bombette puzzolenti (chi ha visto lo spettacolo, ora, ne riderà. Ma è la verità), olio di motore e pece gettati sul pubblico, addirittura qualcuno pare si sia spinto sopra e sotto il palco per recitare versi di preghiera in latino, un’Ave Maria, immaginando una sorta di esorcismo a quella che gli appariva un’evidente blasfemia.

Tra i fondamentalisti quelli cattolici hanno una caratteristica innegabile: la teatralità delle operazioni. Secoli di liturgie cantate e raccoglimenti a comando hanno generato un rapporto profondo con il palco, tanto da non capire più differenza tra la messa e la messa in scena. Il dogma cattolico è rimasto nel mondo occidentale sul piano più di tutto formale, seguire la dottrina è un po’ come mettere in replica uno spettacolo recitato così tante volte da andare in automatico. C’è in quell’agire come una sorta di automartirizzazione per emulazione di martiri del passato, non riuscendo mai ad affrancare il pensiero dominante che fonda – non mi fermo a giudicarne gli effetti – la cultura occidentale, portando in scena di continuo quella ‘sindrome del perseguitato’ tipica della religione della sofferenza e del peccato.

In questo periodo il teatro sta vivendo dunque un momento di celebrità, dal margine cui è costretto in quest’epoca di magra. Prima di Castellucci in Francia (raccontato da Martina Castigliani su Il Fatto Quotidiano del 24 ottobre 2011 e da Stefano Montefiori sul Corriere della Sera del 28 ottobre 2011, che ha scritto una lettera ai suoi contestatori pubblicata da Massimo Marino su Controscene) la contestazione aveva raggiunto Rodrigo Garcia alla Biennale di Venezia (leggi qui l’articolo), reo di aver torturato – a dire di qualcuno – alcuni animali in scena. In entrambi i casi sono giunte le forze dell’ordine, segnale d’ingresso della cronaca nel normale scorrere delle cose. Dispiace molto, come osserva anche Elisa Battistini su Il Fatto Quotidiano del 29 ottobre 2011, che di certe eccellenze artistiche si dia spazio sui giornali italiani solo in simili occasioni. Ma è il difetto di aver ceduto al ‘sensazionismo’ – a mio avviso – il vero colpevole: il concetto di trovata è teatrale ormai anche e soprattutto fuori dai teatri.

Assieme ai cattolici, ci dicono le cronache, gruppi di estrema destra. Non è strano trovarseli lì, reietti dall’evoluzione culturale anche loro non trovano mezzo migliore per entrare in un teatro e far parlare di sé, promuovere in fondo i loro canoni dell’espressione artistica, riducendo alla protesta brutalizzata quel disagio da emarginazione culturale che non a caso – divenuti potere dominante – hanno tentato di sopperire non con una cultura alternativa ma direttamente con la sottrazione di cultura. Cattolico monarchico e fascista è dunque il germe che si annida nella civiltà occidentale, ma forse non più che un bisogno di far risaltare le proprie convinzioni sfruttando palcoscenici altrui in mancanza dei propri, usurpatori di un pensiero culturale che nel dogma – assente di discutibilità – è tecnicamente impossibile. La sfida è altra allora: lo portassero in scena questo sdegno, ne facessero arte. Allora ne parleremo da pari. Si vuol mettere in crisi l’arte? Allora il luogo deputato a simili istanze è la scena. Oppure, in mancanza d’altro, un pulpito d’altare o di comizio.

Simone Nebbia

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Il video di una delle azioni dimostrative.

Leggi e firma l’appello promosso dal Théâtre de la Ville di Parigi

da Il Tamburo di Kattrin *cit:

In seguito agli attacchi da parte di fondamentalisti cristiani che sta subendo Romeo Castellucci a causa dello spettacolo Sul concetto di volto del figlio di Dio presentato in questi giorni al Théâtre de la Ville di Parigi, accusato di sacrilegio e di “cristianofobia”, si può inviare una mail, in sostegno e difesa della libertà d’espressione, all’indirizzo comite-de-soutien-castellucci@theatredelaville.com, indicando nel testo nome, cognome, professione prima della frase “Je signe” (io firmo). Oppure scrivere una email al comitato di sostegno che il Théâtre de la Ville ha organizzato contro la censura: comitedesoutienspectaclederomeo@yahoo.fr

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3 COMMENTS

  1. Stavolta non sono radicalmente d’accordo, caro Simone: come mai sfugge a tutti che quello di Castellucci è comunque uno spettacolo sulla teodicea e che il suo anti-teismo, le sue defigurazioni, le sue presunte blasfemie sono radicate in una cultura dell’immagine divina (cioè della divinità incarnata) che non mi sembra possa esser liquidata come una banale reviviscenza superstiziosa? Come mai, insomma, dopo tanti anni di modernità è ancora con quell’immagine che un artista come Romeo Castellucci continua a vedersela? Il concetto di incarnazione non mi sembra poi così banale e neanche riducibile, con una snobistica alzata di spalle, alla “religione della sofferenza e del peccato”. “Cattolica, monarchica e fascista” è una sintesi ottima per il tradizionalismo integralista – è la descrizione dell’Action Française – ma è solo una sintesi politica. Che ne facciamo di quei cristiani che non sono e non vogliono essere né monarchici né fascisti? Li obblighiamo a restringere la loro fede in una cultura (è almeno da Kierkegaard che questi due termini non possono essere confusi) perché questo è più comodo per il teatro generale su cui pensiamo di combattere, dove ogni maschera deve essere riconoscibile a prima vista?

  2. Caro Attilio, conosci il mio scrivere fin troppo bene perché io spieghi i motivi di questo articolo. Cerco di risponderti, per quanto mi sia possibile. In primo luogo certo speravo di non colpire la sensibilità di nessuno, ma credo ormai di aver capito che questo bel proposito non sia molto per me. Quanto sta accadendo in Francia è per me sintomo di grande assenza, per ogni manifestazione “teatralizzata” della fede che vedo, sento mancare quella spiritualità di cui credo il nostro mondo crudo abbia profonda necessità. Quindi la mia reazione sdegnosa non è certo per chi interroga quell’immagine, ma per chi la trasfigura al proprio uso come un qualsiasi fondamentalismo. Quindi per me è chiarissimo, arioso e raro il motivo per cui Castellucci sceglie l’immagine del Cristo, ma non l’ho mai messo in dubbio. Ragionavo piuttosto sugli estremismi, su quello cattolico che in secoli di storia ha prodotto più martirii che martiri (potere dell’accento, certe volte), quindi perfettamente incline al binomio (o trinomio) che la cronaca dei fatti propone per gli eventi parigini. Del resto l’arte a bersaglio degli uni e degli altri è storia antica, dai roghi dei libri immorali dell’Inquisizione fino ai roghi censorii dei Nazisti del ’33. La parentela è fitta. Quanto alla “sofferenza” e il “peccato”, sono termini che indicano cosa è diventata la spiritualità di questo tempo, di cui ho pasolinianamente bisogno e che vedo moltiplicare in mille rivoli dispersi di autorappresentazione. Quindi mi auguro che non ci sia fraintendimento: in fondo anche il neonato che piange, pur che il suo pianto sembri un disturbo, un disagio sguaiato senza motivazioni, sta solo nella purezza dell’espressione imponendo il suo bisogno di cura.

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