Atlante arriva al numero V.
E “V”, da un po’ di tempo, sta per Valle.
Ma con ordine, forse è il caso di rimetterci a parlare di copyright. Altrimenti la follia orientale del duplicato – quella che in One day dell’Accademia degli Artefatti è la “copia cinese” e che per noi dopo la pecora Dolly si sintetizza con la parola “clone” – è in grado di coprire ogni spazio con veli e veli di carta carbone. Vivendo in un paese in cui un manifestante che mena le mani per strada è un criminale, mentre un parlamentare che lo fa in Senato o alla Camera sta difendendo le proprie convinzioni politiche e diventa quasi un eroe partigiano, allora forse è probabile che ricominciare a distinguere sia almeno necessario.
Da quattro mesi ormai c’è un discreto numero di persone che ha occupato il Teatro Valle di Roma. L’abbiamo detto, scritto, ci siamo andati, ci siamo allontanati. Chi più chi meno, primo o dopo. Molti hanno continuato, molti altri sentono distanza da questa avventura. Ma il dato di fatto è che sono ancora lì, e hanno lavorato insieme a Ugo Mattei e Stefano Rodotà su una prima bozza di Statuto – e dunque la costituzione – per una fondazione che desse la misura giuridica al bene comune. Il 20 ottobre 2011 la bozza doveva essere presentata pubblicamente, nelle sale del teatro. E così è stato. Si chiamerà Teatro Valle Bene Comune (e c’è la V di Valle per non confondersi con una malattia… ma poteva benissimo essere senza perché tutto il teatro lo è). Nella bozza sono indicati obiettivi che già da tempo aleggiavano fra le rossodorate poltroncine della sala romana, innanzitutto la costituzione di un Comitato che lavori sulla Fondazione, prima di diventarlo; poi si tratterà di formare una sorta di oligarchia a rotazione vertiginosa, in modo che non si cristallizzi in una solidità di potere; dimostrare inoltre la possibilità di un azionariato popolare, dal basso, volto a costruire una nuova forma di gestione della cultura. Appunto, definendola Bene Comune. Nella bozza è anche il riferimento alla vocazione, che nuovamente di riferisce alle “drammaturgie italiane e contemporanee”, in cerca di dimora, per “l’esigenza di riaprire un processo di narrazione e rappresentazione della realtà”. Nodo spinoso è, come ovvio, il finanziamento delle operazioni (dato che una fondazione, per essere tale, deve avere un patrimonio e rispettarne il valore economico), ma di questo il Valle Occupato si sta Occupando, e presto si saprà dove trovare i soldi di una bella ma costosissima avventura.
Ma dov’è la “copia cinese”? Risale ai giorni appena precedenti: il sindaco di Roma Gianni Alemanno, silenzioso per mesi e vivo solo per bocca del suo assessore culturale Dino Gasperini, in una lettera al quotidiano La Repubblica, esprimeva solo due giorni prima della conferenza del Valle già decisa la sua idea di costituire una Fondazione, un patto per salvare questo teatro, “a cui potranno aderire altri soggetti pubblici”; il giorno successivo invece il Gasperini succitato approvava rapidamente una Casa dei teatri e della drammaturgia contemporanea con i redivivi Teatri di Cintura e addirittura il Globe di Villa Borghese, dove la drammaturgia più contemporanea finora l’aveva scritta un signore benvestito e piuttosto noto nell’Inghilterra elisabettiana fra il ‘500 e il ‘600 (che pare stia elaborando un Giulio Cesare ad hoc per l’assemblea del Valle).
Ma allora, ci si domanda: se il sindaco rivendica il bene pubblico, l’assessore si rivolge alla drammaturgia contemporanea (questa sconosciuta), mentre nel frattempo gli occupanti stanno convogliando le forze della forma assembleare in una costituzione che le accentri per un migliore utilizzo, cioè stanno disegnando uno scacchiere politico (a giorni infatti arriverà proprio il Codice Politico della Fondazione), cosa ci aspetta ancora? Chi sarà la prossima Dolly? Il sindaco in piazza che fronteggia le forze dell’ordine (ma questa non è una novità, in altre epoche già accaduto), l’assessore che attacca manifesti e distribuisce volantini, una performance di danza contemporanea sopra il tavolo del Consiglio Comunale in Campidoglio, oppure gli occupanti che girano per la città a stringere mani e battezzare la scuola media Teatro Valle o il parco giochi Ugo Mattei. Sbizzarriamoci, ché la fantasia non ci manca. Nel frattempo però qualcuno mi spieghi, in questo paese ridotto al fondo cassa, dove si trovano i soldi per l’una o l’altra idea.
Simone Nebbia
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Scarica la bozza dello statuto del 20 ottobre 2011
info su: www.teatrovalleoccupato.it