Sono capitate molte cose in questi ultimi mesi. Alcune belle, altre meno. Chi segue la cultura e la sostiene ha avuto più di una volta l’impressione di ritrovarsi incolonnato in un lungo corteo, lento come solo quelli funebri sanno essere. Ci si è trovati spesso, ci si è riconosciuti (ché in fondo sempre quelli siamo) e c’è stato tempo abbastanza per parlare, per dirsi amareggiati e preoccupati per il futuro. Non tutti, negli anni, hanno usato parole morbide nei confronti dei Premi Ubu, nel bene o nel male “il riconoscimento più importante per il nostro teatro di ricerca” (virgolette mie come mia è l’opinione), forse proprio perché troppo spesso lo spirito è stato quello della conservazione museale, con nicchie posizionate ad arte per quella ricerca. C’è stata poi, fiorente, la polemica sulle votazioni, espresse da una giuria spalmata su tutto il territorio nazionale, che vive in questi anni una grande frammentazione e non permette la circuitazione di tutti i lavori. E da qui la domanda: chi vota ha avuto modo di vedere tutti gli spettacoli? Sicuramente no.
Poi è capitato qualcosa di inevitabilmente cruciale: il 26 marzo del 2011 se ne andava Franco Quadri, fondatore della casa editrice Ubulibri e ideatore e patron dei Premi. Qualche mese di incertezza, prima di veder comparire di nuovo la famosa lista completa di tutti i debutti dell’anno, tra cui una sessantina di critici e studiosi di teatro avranno modo di selezionare ciascuno le proprie proposte, nelle varie categorie del Premio UBU.
Sollecitati da più di un lettore, inseriamo qui un piccolo riassunto di come, fino all’anno scorso, veniva compilata la suddetta lista. Ogni anno una sezione dal titolo “Repertorio di un anno” veniva inserita nel Patalogo, la celebre pubblicazione di Ubulibri che dal 1979 fungeva da completissimo annuario delle attività teatrali (e non solo). Tale sezione comprendeva l’elenco di tutti i debutti dell’anno, che aveva come base gli invii diretti dei materiali da parti di compagnie, artisti e teatri e che veniva integrato da un serrato lavoro di ricerca della redazione stessa, determinato a non escludere nessuno. Tuttavia nemmeno quest’elenco era del tutto vincolante, dal momento che la giuria aveva la possibilità di votare spettacoli al di fuori di esso, a condizione di averli visionati.
Una riflessione sensata sarebbe allora quella sulla valenza in sé di un voto nominale, in un panorama in cui non è effettivamente possibile visionare tutti i lavori. Se la giuria di una rassegna a premi o di un concorso letterario è posta nelle condizioni di valutare *tutte* le opere in lizza per il titolo, non è lo stesso per un impianto nazionale e di così ampia portata come il Premio Ubu. Se dunque è encomiabile lo sforzo per non escludere nessuno spettacolo, la possibilità che debutti di minore risonanza raggiungano un consenso pari o addirittura superiore a quello degli spettacoli di giro è comunque disperante. Questo pesa in sé sul criterio stesso di assegnazione dei voti, escludendo di fatto il lavoro di compagnie “minori”, laddove l’aggettivo non definisce la qualità del prodotto, tantomeno la sua collocazione anagrafica, ma piuttosto la potenzialità effettiva di essere valutato dai referendari. Nel Paese delle Meraviglie ci si organizzerebbe in modo da permettere alla giuria intera il vaglio di *tutti* gli spettacoli. Ma in questo momento né Maometto ha intenzione di andare alla montagna, né la montagna di andare da Maometto. Ché a rendere possibile per il Premio Scenario un’organizzazione e una divisione per territorio è il fatto che una selezione decisiva viene applicata a priori, con il criterio del “bando” per “spettacoli nuovi, ancora in forma di studio”, quindi ancora esterni alle logiche steroidee del sistema teatrale e del suo mercato, che cavalca, malgrado tutti, quella frammentazione di cui scrivevamo all’inizio dell’articolo.
Al di là delle polemiche, la novità è che da quest’anno la lista è online. A noi questo sembra costituire un segno di apertura verso il pubblico, tramite il mezzo che più facilmente è in grado oggi di raggiungere le masse, lo stesso di cui si serve questo giornale. Soprattutto è importante che la rosa sia davvero completa. Il link sottostante vi porterà direttamente a una pagina di ateatro.org, webzine diretta dal collega Oliviero Ponte di Pino. La lista che visualizzerete si propone di raccogliere tutti i debutti avvenuti tra il 1° luglio 2010 e il 30 giugno 2011; è interattiva e tuttora in fase di aggiornamento e conta sull’attenzione di tutti per rettifiche e nuove segnalazioni (via email, vedi alla pagina), cosicché tutte le compagnie abbiano il diritto – se non altro – di partecipare alla selezione.
Sergio Lo Gatto
Egregio Lo Gatto,
tutte le compagnie hanno SEMPRE avuto la possibilità – “il diritto” come lei lo chiama – “di partecipare alla selezione” dei Premi Ubu. Nessuno è stato mai escluso.
La “famosa lista” (…famosa?) che lei ha modo di leggere ora su internet, infatti, sino all’anno scorso derivava direttamente dal lavoro di compilazione della sezione “Repertorio di una anno” del Patalogo, realizzato grazie agli invii di materiali richiesti per tempo a teatri, artisti e compagnie, implementati oltretutto da ricerche scrupolose prodotte dalla stessa Redazione Ubu. Da lì, un elenco complessivo – cioè con tutti i teatri e le nuove produzioni di cui si era reperita notizia certa, nessuno escluso – puntualmente inviato ai referendari chiamati a esprimersi sulle varie categorie del premio, dimodoché avessero a disposizione un prospetto PURAMENTE INDICATIVO utile a rinfrescargli la memoria nel mare di spettacoli visti durante un’annata. Tant’è che si possono benissimo – ed è infatti successo – votare produzioni al di fuori di esso, l’importante è che chi le vota le abbia viste in scena.
Che poi critici, studiosi, esperti o altri commentatori, vadano o siano mandati dalle rispettive testate a vedere solo i nomi storici o peggio alla moda e perdipiù sotto casa (giacché, in effetti, la circuitazione è quella che è), oppure che si aduggino in pigre predilezioni o difettino di curiosità “à l’avant-garde”, questo è un problema particolare della Critica Teatrale – come bene ha scritto, ultimamente, Massimo Munaro in una lettera aperta a Renato Palazzi, ma che ci sembra valida per chiunque oggi scriva di teatro e spettacolo.
Concludendo, che i Premi Ubu siano “interattivi” – come afferma ancora lei – è vero: ed è vero da decenni, sulla base di quanto descritto succintamente più sopra in merito al processo di elaborazione del “Repertorio di un anno”. Altrimenti si scrive un’inesattezza, perché nessuno può accedere all’attuale database apposito e inserire informazioni su uno spettacolo, a parte la Redazione Ubulibri.
Peraltro, chi l’ha detto che i Premi Ubu sono “il riconoscimento più importante per il nostro teatro di ricerca”?. Per “il nostro teatro”, semmai, e basta. Cos’è la “ricerca”? Cosa rende più (…o meno) di ricerca i santasangre (comunque premiati) rispetto a – che so? – un teatro totalmente diverso quale quello di un Bergonzoni (premiato anche lui)? è così sicuro che gli spettacoli di Luca Ronconi contengano meno (…o più) ricerca di uno dei Muta Imago (entrambi premiati)?
Ringraziando per l’attenzione, salutiamo cordialmente.
Buon lavoro.
Gentilissimi voi.
Mi prendo la completa responsabilità di ciò che ho scritto e che oggi riscriverei, magari integrandolo delle specifiche da voi molto esaustivamente esplicate in questo commento. Mi scuso per non aver accuratamente descritto tutta la procedura, ma aggiungo di averlo fatto appositamente, dato che la maggior parte di chi segue il premio ne conosce le procedure. E chi ne determina l’assegnazione anche, confido. Il motivo per cui non sono andato a fondo è perché non credevo né credo di aver scritto niente di offensivo o particolarmente impreciso. Purtroppo, come spesso capita, soprattutto su determinati argomenti e in determinati periodi, qualcosa è stato frainteso. Innanzitutto il termine “famosa” è stato deliberatamente interpretato da voi con un tono sarcastico che non aveva affatto. Intendevo dare al sostantivo l’importanza che meritava, dato che è da quella lista che parte tutto il procedimento. Per quanto mi riguarda è un segno forte che ora la lista si presti ad essere arricchita dal pubblico, che non ha, è vero e ovvio, la possibilità di “iscrivere” nuovi spettacoli, ma al quale viene esplicitamente richiesto un occhio attento. Per chi scrive questa è un’apertura che ha valore a prescindere da tutte le modalità adottate finora, soprattutto quando in nessun modo queste righe esprimono tentativo o desiderio di denigrarle.
Trovo ineressantissime tutte le specifiche apportate dal commento e mi riservo l’opportunità, non appena possibile, di integrare l’articolo, la cui funzione resta principalmente quella di linkare alla lista di ateatro, senza tutta la demagogia di cui sembrate averla vestita.
Riguardo a tutto il resto, come detto, mi prendo tutta la responsabilità di ciò che ho scritto, che porta la mia firma e dunque il mio punto di vista. Il discorso sul teatro di ricerca non parte né si esaurisce qui. Le distinzioni tra Santasangre e Bergonzoni ciascun critico o spettatore le valuta da sé. Per me, ad esempio, sono ricerca tutti e due, premiati, appunto, ma lo sono molto di più di altri, premiati anche loro. Ma se non sono entrato nello specifico è perché non credo sia questa la sede. Questo doveva essere ed è un pezzo di presentazione della lista dei debutti. Per tutti questi giudizi sento di avere spazio, su queste e altre pagine, e un tempo che vedrò di scegliere da me. Precisazioni a parte, che sono sempre benvenute, mi rincresce questo tentativo (che ultimamente si manifesta spesso) di aggiungere o supporre altri significati ai termini. In questo caso è stato ulteriormente frainteso il mio pensiero. Se certi critici votano senza aver visto gli spettacoli non è certo un problema del premio ma dei critici, al limite. Riguardo alla “questione Munaro” (virgolette rigorosamente mie) so di poter parlare a nome del giornale quando sento di dover rispondere che la serietà di ciascun lavoro si dimostra con il lavoro stesso.
Ringrazio di cuore per questo dialogo e spero in un confronto costante.
Sergio Lo Gatto
La Ubu deve riconoscere che il Sig Lo Gatto ha ragione; da questo momento gli Ubu potranno essere più liberi, almeno sulla carta rispetto a prima. Qui a Milano sappiamo bene come avvenivano certe cose. Però ritengo giusta la polemica sul teatro di ricerca che viene fatta fine lettera.Come dargli torto ai Ubu redattori? E poi per favore, voi criticavate un critico che non c’è più perchè era parziale,ma poi vi scambiate sorrisini e messaggi in questi post perchè Timpano dorme in poltrona e Nebbia si diverte a pubblicarlo oppure perchè il vostro amico vince un premio ecc ecc. Ma vogliamo provare a cambiare veramente? Vogliamo imparare a essere IMPARZIALI?
Buon lavoro a tutti
PS:Il grande Leo(che di ricerca sapeva qualcosina) diceva “Questi del teatro di ricerca, cercano cercano, sono anni che cercano…ma cosa caz… cercano?”
Gentile Emilio, nel merito della questione Ubu non entro perché già il mio collega credo sia stato più che esauriente, ma chiamato in causa non mi posso esimere da una risposta a quanto mi si contesta. Del resto il mio mestiere è costellato di puntualizzazioni, di continue rimozioni e affermazioni. Vado a spiegare. Quello che lei Emilio mette in gioco (tralasciando la modalità un po’ avventurosa…) è un problema su cui chiunque si provi all’esercizio del giudizio s’è scontrato molte e molte volte, quindi un tema che mi è caro e su cui molto ho riflettuto. Sono felice mi dia ancora modo di farlo. Vede, ci troviamo oggi a vivere una condizione di questo mestiere piuttosto curiosa: la mia generazione ha scelto, come spirito dei tempi, la partecipazione attiva del movimento, dell’ambiente, perché crede – e io assieme – che sia oggi il solo modo di affrontarlo. La critica asettica della finta imparzialità appartiene a un’epoca sepolta, Emilio. Almeno in questo io credo. Ho deciso per me, per la mi volontà di misurarmi, di non tirarmi indietro di fronte anche alla compromissione con tutto ciò che appartiene al teatro, così proprio da fare i conti con me e la mia coscienza, senza facilmente trincerarmi dietro la falsità di una dichiarazione imparziale. Mi spiego meglio: se io sono amico di un artista e lei lo ignora, allora crederà al mio giudizio, ma quando si accorge della mia vicinanza allora non ci crede più. E chi le assicura la mia imparzialità? O dei miei colleghi? Allora la mia scelta è sempre stata quella di portare all’estrema conseguenza tutto ciò, per poter così avere io un rapporto chiaro con quella coscienza sempre bersaglio di accuse, per chi fa questo mestiere.
In secondo luogo le rispondo al proposito della fotografia incriminata: quella foto non è lì per caso, ho fotografato e pubblicato Timpano per un ben preciso segnale che dall’articolo spero si evincesse: uno dei rappresentanti più in vista diciamo del territorio romano ridotto allo stremo da una discussione che non ha portato finora risultati. Ho fotografato lui con la stessa imparzialità con cui ho fotografato un perplesso, a mio vedere, Arlecchino sulla volta del Valle. Del resto sia l’uno che l’altro erano in quella posa prima che io tirassi fuori il mio obiettivo, quindi in quel momento erano cose significanti che dichiaravano ben precise istanze.
Spero di aver risposto a questo suo appello alla trasparenza.
Davvero non saprei trovare sincerità migliore che questa per poterlo esprimere.
Cordialmente
Simone Nebbia
Emilio, dimenticavo. A proposito del premio dell’amico…ma a cosa si riferisce? Non riesco a rintracciare nulla che mi ricordi qualcosa di simile. Può aiutarmi? Così da permettermi – a me o i miei colleghi – di fornire adeguato contraddittorio. La ringrazio. S N
Visto che sembra essere diventato parte della discussione, torno sull’argomento “ricerca o non ricerca”.
Nella risposta alla Redazione Ubulibri non ho calcato la penna su un ulteriore aspetto. E forse avrei dovuto, visto che si seguita qui a fraintendere o, peggio, a tirare somme arbitrarie a partire dalle mie stesse dichiarazioni.
Innanzitutto, più ci penso e più mi indispone il fatto di veder citati certi nomi. So bene che erano degli esempi rappresentativi di diverso teatro premiato dall’UBU, ma ritengo siano stati comunque elencati con una certa leggerezza, che non può che portare, e il commento di Emilio ne è la conferma, a nuove semplificazioni, nel termine più algebrico possibile. Ribadisco che ho avuto e ho tuttora lo spazio adatto per rendere chiaro perché una cosa a mio vedere sia ricerca e un’altra no. Ma soprattutto aggiungo che gli stessi nomi citati, all’interno della propria teatrografia, hanno attraversato dei momenti più prolifici di altri in quella medesima ricerca.
Questo solo per dare un accenno di quanto complesso sia l’argomento. Dal quale mi guardo bene dal fuggire, figuriamoci, ma che credo vada affrontato in una sede precisa che non è né un commento né un pezzo di presentazione. Credo che la maggior parte dei colleghi stia affrontando questo discorso nell’unico modo possibile, che è quello del contatto, così ben esplicato da Nebbia un paio di commenti più su. E anche questa è “ricerca”.
Grazie a tutti dell’attenzione
SLG
Lo Gatto, buongiorno.
La questione è semplice. Bisogna che sia preciso in ciò che scrive e ogni volta che scrive. Tutto qua. E come lei – va da sé – anche i suoi colleghi: si chiamino Ponte di Pino, Gregori o Gigetto. Noi, come ha potuto appurare, lo siamo stati.
Se lei scrive di cose di cui non sa (come infatti afferma), rischia semplicemente di non sapere di cosa scrive, com’è accaduto, e si cade in un tipo giornalismo quantomeno superficiale benché vestito di encomiabile carica progressista. Così succede – com’è successo – che si senta poi in dovere, o semplicemente spinto, a implementare il suo pezzo per chiarire, sollecitato – a quanto leggiamo – da più di un lettore. E lasciamo stare la pedanteria che ciò avvenga a posteriori del nostro commento, rischiando di confondere l’utente che capita per la prima volta sulla pagina.
In merito alla “Ricerca”. Il valore è nella domanda che solleviamo più che nella risposta. Perché infastidirsi, se i nomi da noi messi sono – appunto – una coppia di esempi per dare conto di una diversità ampia (anche di generazioni) del teatro? Leggerezza?… Vuole che le facciamo una lista anche lì e si divenga pertanto didascalici? Non crediamo che lei ne abbia bisogno.
Il nucleo fecondo è nell’interrogativo, che bisogna porsi con sincerità radicale, perché ognuno avrà di certo le proprie risposte complesse e articolate al riguardo. Il problema è che “Ricerca” è una parola speciosa, oramai usata piuttosto indiscriminatamente da più parti senza alla fine sapere di cosa si sta parlando, pensando di dignificare l’attività di questo o di quell’altro, museificando per contrasto quella del tale o del talaltro, finché si perde la dinamicità e la ricchezza del Teatro tutto, che si cerca in tal modo di ingabbiare, quando il suo orizzonte è molteplice e aperto ma soprattutto va scavato, snidato nel suo aureo potenziale.
L’arte autentica se ne sbatte di categorie di comodo e scava, va a fondo, insemina.
Lei solleva infine critiche legittime sulla mancanza di copertura dei premi Ubu relative agli spettacoli minori o penalizzati da un sistema distributivo che è quello che è. Ma i Premi Ubu si portano dietro questo aspetto da più di trent’anni, mica da l’altro ieri. La formula è questa, senz’altro discutibile o perfettibile da quel punto di vista. Del resto, mica si sono mai posti come l’istituzione o la verità. Semmai, col tempo, sono stati visti da fuori come l’Istituzione con la “i” maiuscola, mentre sotto sotto chiunque lo voleva vincere perché nella povertà del nostro sistema hanno iniziato perlomeno involontariamente ad avere un’incidenza sul mercato e a conferire visibilità. Dagli Ubu hanno spiccato il volo quelli che erano invero perfetti sconosciuti: da Celestini alla Fortezza, outsider come la Valdoca – correvano gli anni 80 – o Danio Manfredini, e potremmo continuare. Non c’è solo Ronconi o Castri o Cobelli (in passato) nel palmares indiziato.
Il signor Emilio sostiene che, adesso, i Premi Ubu saranno più liberi. Ma i prigionieri, chi sono?
Non è una domanda retorica.
Chiudiamo dunque qua la faccenda.
Il tempo per risponderle di nuovo ci mancherà, causa il molto moltissimo lavoro che ci aspetta in queste settimane per giungere in tempo all’appuntamento dei Premi con più spettacoli e informazioni possibili.
Grati ancora per l’attenzione, salutiamo sempre con cordialità.
ULTIMA REDAZIONE UBULIBRI
P.S. SULL’EFFETTIVA POSSIBILITA’ DI VISIONARE TUTTI GLI SPETTACOLI : Per esempio, anni fa lo Stabile di Genova produsse uno spettacolo – a nostro avviso bellissimo – che fece il suo debutto nel capoluogo ligure e poi girò la stagione successiva ma per poche date, perché era composto da 18 attori – se ben ricordiamo – quindi difficile da distribuire. Si trattava di SVET. Furono pochi i critici che lo videro alla prima, e quando lo videro l’edizione degli Ubu utile per votarlo era già andata… E stiamo parlando dello Stabile di Genova.
Carissimi voi, per quanto abbia avuto bisogno di approfondire il mio pezzo, spiegando nello specifico le modalità osservate dall’Ubu finora, continuo a ritenere di non aver scritto qualcosa di falso o di eccessivamente “progressista” nella mia prima versione del pezzo. Non ho mai detto infatti che “per la prima volta” o che “finalmente” tutti gli spettacoli avrebbero avuto la possibilità di essere votati, ma solo che è “importante che si faccia di tutto perché la lista sia completa”. Di certo è stato inportante durante tutti questi anni, così come di certo è stato svokto in questi anni un lavoro accurato. So bene che quel lavoro non lo si fa per la prima volta quest’anno. E lo so tanto bene che non ho sentito il bisogno di sottolineare quanto nuova sia l’opportunità di entrare nella rosa, perché so che non lo è. In altre parole, non ho mai denigrato o minimizzato il lavoro fatto finora, tantomeno ho comunicato che questa era la prima edizione in cui tutti avevano modo di partecipare. Ho solo comunicato che per la prima volta i lettori e gli spettatori avevano modo, mandando una semplice mail, di entrare nel merito della lista. A provare tutto questo è il fatto che l’intervento sul mio articolo non ha determinato alcuna riscrittura o correzione, ma solo delle *aggiunte*. Aggiunte che soddisfano, credo, la curiosità di qualcuno e la giusta puntigliosità di qualcun altro. E basta così. Riguardo alla ricerca. So bene, l’ho detto e lo ripeto, che sono stati citati certi nomi come esempi di premiati, ma ancora una volta rispondo che non era nella natura di questo pezzo andare a fondo sul concetto di ricerca. Tra il non citare nomi e citarli così a elenco, non sono convinto che la soluzione più superficiale sia la prima. Sul fatto che il teatro che seguiamo e che offre possibilità di analisi se ne sbatta di certe categorie sono perfettamente d’accordo, al punto che per me quella “ricerca” non funge da categoria, ma al limite da caratteristica, da requisito. E sono cose molto diverse. Riguardo alla modalità: certo che questa abbiamo e questa ci teniamo perché altre il sistema non le permette. Ed è per questo che chiamavo in causa il Paese delle Meraviglie. Da parte mia, conunque, il fatto che gli Ubu siano effettivamente (è un fatto) diventati così importanti è un segno anch’esso. Non già del desiderio da parte degli Ubu di primeggiare, ma del fatto che, vista proprio la modalità, hanno innanzitutto il significato di una ricognizione sullo stato della circolazione e della fruizione dei teatri del presente (termine che uso per liberarmi di quel “di ricerca”). Grazie dell’attenzione e buon lavoro a voi.