Bisognerebbe riavvolgere il nastro della nostra cronaca per fermare i punti salienti di un’avventura artistica, quella di Fibre Parallele e del loro nuovo spettacolo, ri-iniziata nel migliore dei modi al Festival Es.Terni. Riavvolgere quel nastro per liberarlo anche da tutto ciò che è altro: dalla parola scritta del collega dal quale ti aspetti saggezza invece di inutili discorsi su un pubblico troppo distratto per lo spettacolo, troppo maleducato; e dalla risposta di quel regista, il quale pubblicamente prende spunto dalla vicenda per accusare l’altro di essere insieme a una certa e giovane critica una voce incompetente e mistificatoria; in entrambi i casi Duramadre, ultima fatica – nel vero senso della parola – di Licia Lanera e Riccardo Spagnulo, è rimasta fuori dal discorso. Nel secondo caso addirittura perché l’amareggiato regista ammette proprio di non aver visto lo spettacolo, palesando altresì il bisogno di aspettare il passo falso di un critico per seppellire anche il lavoro di altri cento.
Ecco, ritagliamo dalla pellicola questi eccessi di individualismo, questo chiacchericcio alquanto sterile e rimontiamo la nostra narrazione dal braccio alzato di Licia Lanera alla terza chiamata del pubblico ternano, dalla faccia incredula di Riccardo Spagnulo. Torniamo ancora qualche secondo indietro e troviamo una donna accasciata, il suo corpo è morto sul posto di comando, dove tutto è iniziato, tre ambigui figuri le lanciano fiori. La scena di bianco ghiaccio si anima in quel punto di un’intera primavera di speranze, il vento freddo protagonista monotono dell’intero svolgersi del racconto scenico – come per la voce di Startos nel precedente Furie de Sanghe – lascia il posto a una nenia di De André; c’è speranza sì, ma è tutt’altro che un happy end, il fondale di tela si apre e la scenografia viene squarciata due volte, dal gelo emergono alberi e prati. Dalla morte della Duramadre i tre figli nascono alla vita, e vanno verso di essa con quello sgomento di chi viene gettato nel mondo e nel dolore di vivere. Immagini di una forza tale che non avrebbero bisogno neanche di specchiarsi nel Leopardi dello Zibaldone che senza paura viene fatto echeggiare nell’aria.
Torniamo ancora indietro, eccoli i tre che si liberano della loro placenta, rompono i sacchi di nilon in cui sono chiusi e muovono i primi passi sul palco; cominciano ad abitare la scena, bianca come la loro pelle, svuotata anche dalle logiche architettoniche, dove le proporzioni non seguono ragioni di razionalità, ma regole di attrazione verso un unico polo: quella donna accasciata sulla macchina da cucire. Donna vecchia, archetipo di matriarcato del sud e non solo, personaggio costato notti insonni a Lanera, carico di responsabilità, tutto portato sulla schiena come non faceva da Mangiami l’anima e poi sputala e Due e la lucidità di ammettere gli errori, di scrollarsi di dosso il superfluo, il feticcio personale mantenendone la forza nel ricordo e in definitiva nell’essenza del personaggio. Via perciò la parrucca bianca che si vedeva a Bassano, via il il bastone, via dalla scena pure la macchina da cucire originale, in teatro ne basta una finta.
Perché è pure di questo che vive l’esperienza di Duramadre: del vissuto dei loro protagonisti, annodato a filo doppio con una vicenda produttiva devastante per chi poi deve andare in scena riuscendo a lasciarsi alle spalle i conti che non tornano, i soggetti produttivi che all’ultimo momento si ritirano dando il là quasi a un mutamento artistico del progetto iniziale, tagliando l’anima anche all’autore più avventato. Questi ragazzi baresi hanno sempre fatto non solo di necessità virtù, ma di ogni sconfitta un nuovo inizio. Appartengono a una generazione che lotta per il minimo spazio e nello specifico appartengono a quella categoria di “scalatori” senza volontà alcuna di inserirsi in facili meccanismi produttivi. Avrebbero potuto consolidare il successo di Mangiami L’anima o Furie de Sanghe, avrebbero potuto ripetersi e nessuno li avrebbe accusati di ignavia, si sono invece tuffati in un progetto lontano da quelle estetiche vincenti. Tre figli maschi sottomessi da una Madre Natura urlante ordini in uno spietato miscuglio di barese, italiano e latino, appositamente scritto da Spagnulo per l’occasione, una figlia femmina, chiusa tutta la vita in una casetta sulle palafitte, nell’angolo sinistro e profondo della scena, dalla casa esce prima una mano e poi tutta una vita saltellante di inebetita vitalità inespressa. Le Fibre convogliano tutta la loro energia sul palco, insieme a Mino Decataldo, Marialuisa Longo e Simone Scibilia, costruiscono una favola tanto semplice quanto spietata, non hanno paura di allargare il discorso all’uomo, al suo candore di fronte all’universo, non hanno timore della retorica, cadono più volte nella trappola della didascalia, rischiando di creare momenti facilmente leggibili per gli spettatori, soprattutto nelle relazioni tra i tre fratelli, nella scoperta del proprio essere, poi sorprendono con la scrittura scenica di momenti emblematici, come il refrain della madre intenta a prendere le misure ai suoi ragazzi: loro sono davanti al pubblico nudi, schierati, mentre la donna ne scruta i corpi capendo come avvolgerli di stoffe che in realtà non vestiranno mai fino alla morte di lei.
Per l’ultima volta ritorniamo all’incipit nel nostro discorso, ovvero la fine dello spettacolo, gli occhi dei tre figli che camminano verso il nulla, sono gli occhi di uomini impauriti e fragili, sono occhi di giovani artisti, guardano lontano, ma anch’essi hanno paura del vuoto.
Andrea Pocosgnich
visto il 18 settembre 2011
Teatro Secci – Terni
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Duramadre
Di: Riccardo Spagnulo
Con: Mino Decataldo, Licia Lanera, Marialuisa Longo, Simone Scibilia, Riccardo Spagnulo
Voce narrante: Rossana Marangelli
Luci: Giuseppe Dentamaro
Realizzazione scene: Mimmo e Michele Miolli
Sartoria: Modesta Pece
Assistenti alla regia: Elio Colasanto, Rossana Marangelli
Regia, spazio, scene: Licia Lanera
Produzione: Fibre Parallele
In coproduzione con: Festival Internazionale Castel dei Mondi di Andria e il Festival Operaestate di Bassano del Grappa
Con il sostegno spaziale economico ed emotivo di: Res Extensa, Ass. Cult. Explorer, Es. Terni Festival, PimOff