Pioggia e nuvole cupe d’un autunno troppo in fretta sulla Valtiberina, pioggia su Sansepolcro che la gente di qua chiama soltanto Borgo, pioggia dovunque ma non sul Kilowatt Festival 2011, che per questa edizione si mette le scarpe pesanti e dalle intemperie, come dalle difficoltà economiche degli ormai soliti tagli al finanziamento, non si lascia che vagamente inumidire. Dopo i giorni del fine settimana dedicati ai nove spettacoli scelti nel progetto dei Visionari, gruppo di spettatori che li valuta in video durante il resto dell’anno e che poi ne discute al festival con un novero di critici Fiancheggiatori, i giorni successivi è stata la volta delle sei produzioni e coproduzioni di quest’anno, quattro delle quali in prima nazionale.
Ma nel grande dibattito attorno alla figura dello spettatore, così urgente in questi anni, proprio Kilowatt che ne è un attore forte e da tempo su questo tema riflette e fa riflettere, non poteva non presentare anche qui una formula che coinvolgesse il pubblico nei progetti artistici, affinché ne vivesse i processi creativi e non ne subisse passivamente la forma finale. Questa opera di responsabilizzazione, pertanto, all’interno del progetto Filigrane della Regione Toscana, ha avuto inizio chiedendo ad alcune compagnie di rilievo del panorama nazionale di presentare un progetto da far valutare a un gruppo di studenti dell’università di Arezzo, coordinati dalla professoressa Paola Bertoloni, unica docente che ha risposto presente alle sollecitazioni che la direzione del festival ha cercato di innescare nei vari atenei del centro Italia. Gli studenti “ultra-visionari” hanno scelto quattro compagnie, diversissime tra loro, con cui avrebbero interagito nel periodo di creazione attraverso uno scambio di suggestioni sulla materia e i materiali che di volta in volta venivano loro sottoposti. La difficoltà oggettiva, a lungo andare, è stata rappresentata dalla distanza e dalla mancata opportunità di avere le compagnie in residenza e quindi poterne valutare i passi e quasi viverli insieme. Questa opportunità è stata invece fondamentale per la seconda parte del progetto, quando cioè le compagnie hanno avuto uno spazio di prove, per una settimana ciascuno, nello spazio Il Funaro di Pistoia, dove un secondo gruppo visionario, questa volta di “spettatori attivi”, ha seguito i lavori nelle ultime fasi prima della composizione finale, fissando nella settimana due giorni di prova vissuti e discussi assieme.
Risultato del complicato ma virtuoso processo – ripensato e discusso poi con tutti i protagonisti in tre ore di un incontro vivacissimo il pomeriggio dell’ultimo giorno nell’auditorium di Santa Chiara – è la presenza al festival di quattro spettacoli (non le prime due di Progetto Brockenhaus e Francesca Foscarini), composti con l’affiancamento di uno sguardo che smette quindi di essere soltanto utilizzatore finale e inizia a cercare dei modi per entrare nel meccanismo del teatro, così da avere più chiari certi linguaggi complessi del contemporaneo e dunque vivere in una continua oscillazione fra referente dell’opera e insieme in qualche maniera della stessa protagonista. Sonno di Opera/Vincenzo Schino, Schiavi in mano di EmmeA’ Teatro, Idoli di Carrozzeria Orfeo e Malbianco di Zaches Teatro sono i lavori scelti e qui proposti alla visione finale, lavori molto diversi e di sicuro interesse artistico a concludere un percorso davvero innovativo che genera la speranza di tanti e scomposti tentativi di imitazione, ovunque ci sia voglia, ovunque ci sia ascolto che ci sia qualcuno a tradurlo in uno spazio di crescita culturale.
Simone Nebbia
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