Il primo giorno al festival comincia poco prima, quando il treno sta per arrivare a Grosseto e ti chiama il direttore al telefono dicendoti di non prendere il cambio per Castiglioncello, ma di continuare sulla tratta per Pisa e scendere a Rosignano Solvay, sulle cui spiagge tutto avrà inizio; ne approfitta il direttore per leggerti al telefono il programma che ti ha preparato, tu dici sì a tutto, provi ad immaginartelo questo programma che troverai con le croci di fianco ai nomi, ti sorprende un sorriso quando rifletti al percorso consigliato, nella selva dei tanti spettacoli, proprio da chi ha svolto il tuo ruolo prima di te, il vecchio discorso già affrontato sul passaggio di consegne, inizia in un tratto di campagna, mentre il treno solca la ferrovia. E fa bene a consigliarti di scendere. Questo Inequilibrio 2011, a Castiglioncello e dintorni dall’1 al 10 luglio, è un po’ come le Olimpiadi: tutto e contemporaneo su diversi campi di gara. Andrea Nanni in treno, al suo primo festival, passa per me il testimone della fiaccola infuocata.
Prima gara è per I Sacchi di Sabbia, lungo la banchina d’asfalto riva al regno dei bagnanti. Il loro è un vecchio spettacolo itinerante, Il teatrino di San Ranieri, del 1998. Un carretto col teatro sopra, e intorno, perché Giovanni Guerrieri e compagnia – in abiti monacali per varia densità di fede, ritirati dopo quindici giorni di tintoria e inutilizzati da anni – scelgono di intercettare il pubblico lungo il cammino, come una processione accentratrice ch’è lo spot migliore per il festival in apertura: così che l’attenzione dei passanti, poco prima distanti e ora invece ‘sì raggianti, inizi a farsi avanti di presso al carro dei santi. Il loro percorso – in condizioni davvero limite, solo per veri eroi della scena – è una questua dello spirito, sacri e insieme dissacranti stampano nella narrazione urlata un disegno epocale del santo patrono di Pisa, un po’ guerriero un po’ avventuriero, che volle solcare il mare senza forse essere santo abbastanza al pari di Mosè, perché anche a lui, l’acqua, si spalancasse di fronte.
Mentre arrivano voci e informazioni dagli altri campi, solo passando attorno alle sale in funzione, le Cinque nonne di Virgilio Sieni mi spingono fino alla casa di Lina, sulla collina sopra il Castello Pasquini. Questo progetto è inserito nella ricerca Arte del gesto nel Mediterraneo che la compagnia sta portando avanti in relazione all’incontro con popoli diversi; non se ne può parlare senza lo spazio attorno: in questo caso è in una cucina che il gesto prende forma, corpo di chi la abita e si mostra incorrotta; poi di lì si va in giardino, cinque scene per cinque nonne, per l’indagine della possibilità, della misura individuale della vista, del gesto ch’è lento, scivolato e teso solo per la difficoltà del movimento, scevro dell’intenzione fuori di quella al gesto connaturata, non per tensione artistica; ecco allora il nodo dell’incanto: questa mancata tensione del limite esperito, già noto, scritto nella propria anagrafica, è la misura di quel ch’è gesto e non cerca l’oltre, ma così facendo, nella compresenza di chi lo riceve, quell’oltre sa trovare. Tengo i piedi nella terra, mentre la musica dal pianoforte veicola la naturalità corrotta di chi assiste nel segreto silenzioso della natura inalterata.
Musica di strada, finita in una cavea, che in strada non sa non ritornare. E così chiude anche il nostro giro, dalla strada iniziato. L’Orchestrina degli Amanti del Taglio e Cucito, quattro fiati e due percussioni, suona attorno e dentro la guest star Bobo Rondelli: si allarga un’energia strabiliante che rimpolpa quelle di chi l’ha ridotte dal tanto lavoro, carica e scarica la musica profumata di mille tinte e contaminazioni, l’ultima è quella della voce di Rondelli, artista fin troppo colpevolmente in disparte, indica più volte il cielo di questa notte che sta segnando di note e parole come una via lattea fa col buio pesto. Quando non ne può più, dello spazio limitato, si porta tutti fuori nel parco e continua a cantare col megafono: musicisti in fila, chi balla chi batte il ritmo, tutti a cerchio intorno s’accende nella notte, e senza cerimonia, la fiaccola olimpica.
Simone Nebbia