L’affermazione scientifica, teorizzazione del computo numerico, applicata alle inclinazioni naturali tutte umane, elargisce una qualità incontrovertibile cui nessun dubbio può porre contrasto. Quando tutto ciò finisce in teatro, il gioco di sovrapposizione di vero e falso si articola secondo una costruzione d’artificio che da un lato sconfessa la materia dall’altro l’approva indiscutibilmente. In questo gioco di malleabilità e concrezione della materia muove la sua creazione il Teatro Sotterraneo e attiva l’indagine testimoniale, misurabile, in un panorama teatrale che annuncia le sue sicurezze su basi tutt’altro che solide, ai fine di interrogarsi sulle mosse e le pose dell’Homo ridens, versione Castiglioncello.
Il sottotitolo è primo sintomo di questa tensione: la loro indagine ha modalità specifiche in ognuno dei luoghi dove si svolge il test, ravvisandone durante lo spettacolo i risultati e portandone il conto alla fine, come mostra di lavoro svolto. Quindi se ne deduce che la performance acquisti caratteri nuovi al cospetto di pubblici diversi e pertanto la scelta è quella di interrogare chi assiste utilizzando sé stessi come mezzo di valutazione: ne nasce la convinzione che il Sotterraneo stia operando un’analisi di stampo sociologico, andando oltre il teatro ma senza smettere di considerare il teatro come filtro della relazione con la materia d’indagine. Questo fa di loro una compagnia di sicura qualità e attesta una volta di più le lodi unanimi, li promuove di diritto a interpreti coscienti e puntigliosi dell’epoca contemporanea. A questo proposito urge una precisazione: il sistema che vuole la riconoscibilità pari alla ripetitività, non fa che alimentare il divario fra società e teatro, là dove la prima – per difetto di spettacolarizzazione – spinge a non considerare il secondo come una forma d’arte (e dunque lo spinge fuori dai Beni Culturali); la loro ricerca di maturità nello stile, nel linguaggio, di una linea pur riconoscibile, ha il valore di affermare nuovamente che il teatro ha questa dignità che gli viene dalla sua storia anche solo del secolo precedente, storia che s’installa genuinamente nell’evoluzione culturale e dunque umana, che ha però perduto stima di nobiltà e valore dialettico di concretezza nel panorama intellettuale.
La loro indagine è sulla ricettività, sull’ipocrisia delle seconde scelte che si affrettano a diventare prime, per dichiarare a sé stessi la propria correttezza di reazione, sul riso macabro incosciente di sé, inarrestabile impulsività che delle conseguenze non si cura. Per fare questo l’uso della performance è preposto alla spiegazione ed è qui che si fa teatrale lo studio: è prima formale, stilistico, poi si fa notizia e formula. Quindi il percorso è un doppio giro: dalla scienza in teatro e ritorno. Sul filo continuo della credibilità, la dimostrazione dello scollamento fra chi ride e la materia reale che lo genera è lampante nelle otto uccisioni dell’attore, di cui in media si ride quasi sempre, l’irreale dunque resta credibile per il riso, così come ne è chiaro esempio la reazione a catena che ha relazione con il ridente e non con il motivo di irrisione. Dunque si pone il Sotterraneo in un’analisi il cui test siamo noi, le nostre storture di reazione, la nostra fiducia nell’inverosimile. Di qui la percezione postuma della loro fredda doppia dichiarazione violenta: l’assassina dell’attore, che cerca di far fuori la figura cardine dello spazio scenico, poco prima aveva attentato alla vita dello spettacolo stesso, disvelandone l’artificio e quindi ponendo urgente il gioco metateatrale, usando allora il teatro non solo come luogo esplicativo della loro materia di studio, ma come il luogo più opportuno e coerente proprio della stessa analisi. Ma se lo spettacolo è l’analisi, di cosa ridiamo? Proprio di noi stessi, lì dentro riconosciuti, dello specchio ridicolo in cui vediamo deformati i lineamenti del viso, rendendoci ridicoli (ossia ciò che fa ridere) e ridenti della materia ridicolizzata. Ma dunque, nello specchio veri o presunti, ridicoli e ridenti, siamo sempre noi.
Simone Nebbia
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