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Avamposti di resistenza nell’epoca delle videolottery. Cronache dall’ex Cinema Palazzo – sala Vittorio Arrigoni

«Dobbiamo resistere fino in fondo e dobbiamo resistere sempre». Queste non sono le parole di una vittima di qualche regime sperduto nel sud del mondo, l’occasione in cui sono state pronunciate non è quella di un’ occupazione militare, non sono uscite dalla bocca di un giovane ed eroico partigiano col moschetto in spalla e il fazzoletto rosso al collo. Questa frase, certo volutamente ricca di rimandi all’antifascismo che fu, è stata pronunciata da Franca Raponi (residente storica di San Lorenzo, dirigente Anpi e scrittrice), una che senza peli sulla lingua paragona i baldi imprenditori della Comene proprio a quei fascisti che «a San Lorenzo riuscirono ad entrare solo dopo, con l’esercito», tanta era la coesione tra gli abitanti del quartiere.

Ebbene ora quella frase con cui abbiamo aperto torna ad avere un suono ben preciso senza riverberare di anacronistiche stonature. Ce lo dimostra il presente nella sua odierna corsa: nel Bel Paese, da sud a nord si accendono focolai di «ripensamento» di modelli sociali e culturali, a Roma non solo il Valle e la Sala Vittorio Arrigoni, ma vi è anche il Teatro del Lido di Ostia, occupato dopo l’abbandono delle istituzioni; a questi esempi si aggiungono – in una quasi alchemica consonanza storica – i referendum votati neanche un mese fa e la lotta del movimento NoTav che proprio in queste ore “resiste” in Val Susa. Ecco perché quella frase ora non stona, ecco perché una parte importante della società è tornata a pronunciarla senza timore o vergogna.

Il nostro governo interno ha riammesso la parola “resistenza” nel vocabolario di stato, mi verrebbe da dire parafrasando un pezzo di Giacomo Ciarrapico letto e  interpretato dallo stesso autore (nonché regista di Boris) proprio ieri sera all’Ex cinema Palazzo durante la serata organizzata dagli occupanti insieme ai “colleghi” del Valle (proveniva da quell’ esperienza non solo Ciarrapico, ma anche Monsieur David con il suo “teatro del piede”) e intitolata Capezzone Party per schernire l’esponente pidellino dopo la surreale conferenza stampa di qualche giorno fa. Proprio il video della sceneggiata messa in piedi dall’ex-radicale ha aperto le danze, dando poi spazio alle parole degli abitanti del quartiere (più di 2000 firme raccolte contro l’apertura dell’ennesima sala slot) e agli interventi artistici: il “teatro del piede” di Monsieur David appunto, semplice ma efficace performance nella quale i personaggi nascono sui piedi dell’artista; le acrobazie sospese delle ragazze del Circo Palazzo, dove i corpi raccontano di un lungo e duro allenamento, di un’arte lontana nel tempo, dove il rischio della caduta ridisegna i forti e dolci movimenti nello spazio; i video di Jack La Speranza, improbabile fondatore di un comitato pro-casinò, autore di una satira tanto comica quanto terribile per il realismo che nasconde; il già citato Ciarrapico, “mi scuso, non sono un attore” e tiene la platea per più di mezz’ora all’ascolto di un ironico racconto morale che dietro al sorriso nasconde un forte richiamo alle responsabilità personali; per chiudere con l’eroina della serata, Sabina Guzzanti. Con sé porta non solo la memoria inevitabilmente comica dello scontro con Capezzone, l’irresistibile intervista della De Filippi a Edipo, Moana Pozzi al tempo del regno di Berlusconi, la Annunziata che auto-ribalta il proprio discorso politico finendo per dichiarare la propria natura, il politico/velina, ovvero sì al protagonismo delle donne ma no al femminismo dove si sa ”le donne non si facevano la ceretta e questo ha portato al terrorismo”.  Insieme a questa carrellata di personaggi e assurde miserie della nostra epoca l’attrice porta però anche una notizia: durante una recente interrogazione parlamentare è emerso che al Ministero delle Finanze non è pervenuta nessuna richiesta di autorizzazione per la creazione di un casinò nel cinema Palazzo. La società Camene  d’altronde ha iniziato una campagna mediatica con la quale cerca di riacquistare credibilità proprio nei confronti dei cittadini promettendo non un casinò ma una sala polifunzionale dove il gioco si unisce alla cultura e all’intrattenimento, dove le slot machines conviveranno con cabaret e mostre. Hanno anche un sito (www.cinemapalazzo.it), andateci, all’interno un tour virtuale vi porterà nel paese “reale” quello dei lussureggianti sofà, delle simpatiche e socializzanti videolottery e dell’immancabile coppa dei Mondiali trionfalmente alzata in un grande maxischermo. Come potete rinunciare a tutto questo?

Andrea Pocosgnich

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

1 COMMENT

  1. L’occupazione del Palazzo è una ventata d’aria fresca. Parlare, invece, del Valle come di un’occupazione sia sbagliato. Non è un’accusa al critico che ha scritto questo pezzo. Ci mancherebbe. E’ solo una presa d’atto. Se si occupa non si consentono altri spettacoli, non ci si fanno dare le chiavi per l’ingresso posteriore. Si occupa perchè si decide di contrastare e rilanciare un’altra idea di mondo. Al Valle c’è un’autogestione. Non so se vi ricordate le occupazioni delle superiori. Beh, la differenza tra l’una e l’altra (occupazione ed autogestione) era chiara. La seconda era una presa di giro. Un accordo tra il potere e gli studenti, per non disturbarsi a vicenda. Così faccio un grande plauso agli artisti del Palazzo, senza dimenticare gli occupanti del Lido di ostia. Bravi davvero e molto, ma molto coraggiosi.

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