Mi chiedo da sempre cosa debbano aver provato gli uomini dentro la Torre di Babele, quella volta che il loro dio decise di disperdere le lingue e le parole, mescolando significanti e significati, producendo cioè una situazione di tale confusione che nessuno ebbe più modo di comprendere linguaggi e contenuti. La punizione divina di quel popolo, colpevole di aver voluto costruire una torre in altezza per avvicinarsi al cielo che della potenza è custode (come nel bellissimo dipinto di Bruegel il Vecchio), sembra molto simile a quella di artisti e intellettuali in quest’epoca della barbarie culturale: tanto hanno cercato il calco di dio con la loro arte, così sono stati puniti a disperdere la comprensione di sé e degli altri. Penso a tutto questo, sulle poltrone di questo secondo giorno di occupazione del Teatro Valle, durante l’assemblea (che si ripeterà oggi dalle 16) in cui le diverse anime cercano una conciliazione molto difficile: teatranti, cineasti, artisti visivi, scrittori, musicisti, ognuno racconta il suo e quasi nessuno compone una proposta di ordinamento oggettivo, ognuno il suo particolare, tutti si affannano a dichiarare il sovvertimento della categoria generalista, riaffermando invece subito dopo l’orgoglio di categoria. La propria.
Una differenza però è notevole: se i parlanti di Babele, pur non conoscendo lingue altrui, almeno conoscevano la lingua propria, in molti casi si ascoltano parlare persone che non sembrano avere le idee chiare a proposito degli ambienti in cui gravitano, o limitrofi, dicendo connaturati i mondi, ma decretandone con la loro scarsa preparazione invece la totale disarmonia a una posizione comune e condivisa. Domando a chi vorrà interrogarsi: siamo sicuri che, mettendo seduti attorno a un tavolo cineasti e teatranti, siano in grado di dire cose in accordo? Oppure scavando scopriamo che nessuno conosce i percorsi e le difficoltà dell’altro, economie reali e opportunità? Di continuo si ascoltano proposte di reti, raccolta firme, blog e siti internet, sostegno a questo o quel progetto particolare, sia mai che abbia sentito parlare più di qualcuno in termini di concretezza strutturale; non ho ascoltato ascoltare, questo è davvero il problema: chi propone attenzione sul deliquio della formazione ha idea di quel – anche poco ma di buono – che è accaduto in questa città, nel settore, in questi anni? Chi grida la sordità dei teatri stabili (primo il Teatro di Roma), ha forse provato a telefonare e chiedere un appuntamento? Oppure ha incontrato presidenti, direttori e consiglieri in luoghi indipendenti mai toccati in precedenza da altre gestioni? Io ho fatto l’uno e l’altro, e non posso dirmi che fiducioso rispetto a questi anni passati, pensiamo un po’, anni di silenzio inane da un consiglio d’amministrazione addirittura indicato da poteri amici. Dico questo perché siamo troppo spesso pronti a indicare colpevole chi detiene un potere, vero o presunto – e a volte anche a ragione – ma qualcosa di noi, abituato a protestare, quasi si sconvolgerebbe e avrebbe pudore del contrario.
Come tutto è chiaro, mentre arriva in diretta la notizia che il Comune di Roma (che lo darà al Teatro di Roma), come era ovvio per tutti, gestirà per un anno il Valle in attesa di un bando (rivolto al pubblico o al privato? Questa è la domanda). Ci penso soprattutto dopo aver sentito anche l’assurdità di fare una stagione dei grandi e dei piccoli tenuti da questi a battesimo: ma grandi e piccoli chi? Il proponente Silvio Orlando che resti a fare il cinema, tanto è bravo. Eppure, da un dialogo con Graziano Graziani fra i più lucidi in platea, in questi anni il Valle ha avuto le stagioni più belle mai viste a Roma, con le Monografie di Scena, e poi gruppi di ricerca giovani in sequenza, anche se per poco tempo, hanno avuto l’opportunità di calcare quel palcoscenico (Teatri del Tempo Presente) e noi di vederli, ma allora come posso credere che un’occupazione possa pensare, anche vagamente, di produrre tali pericolosi ritorni al passato? Graziani lo dice frettoloso alla platea, tutti applaudono le stagioni del Valle e tossiscono bofonchiando a proposito dell’ETI, qualcuno spiega la connessione fra le due entità? E soprattutto: se dopo quell’applauso qualcuno avesse fatto proposta al neo gestore Comune di Roma di rimettere allora il suo inventore Ninni Cutaia al posto abbandonato, quanti avrebbero saputo appoggiarla? Quanti avrebbero saputo dire chi è questo signore? Provo a dire alla schiera di Babele: Ninni Cutaia direttore generale dell’ETI e Ninni Cutaia gestore del Teatro Valle sono sorprendentemente la stessa persona…
Simone Nebbia
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Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Il Tamburo di Kattrin
Hai parlato di cineasti e teatranti e il problema è proprio questo, conosco tante persone che ora occupano il Valle e ti assicuro, ma penso lo saprai, che pochi sono coloro che possono essere definiti artisti o teatranti o cineasti…la moltitudine è composta da persone che provano a fare un mestiere labile e che i più, senza talento, non riescono a fare..i più sono infervorati dalla novità di occupare e sentirsi per questo “artisti”…rivendicando un diritto di “possedere” un teatro storico mi chiedo su quali basi. Certo l’idea di perdere il teatro Valle, gestito da una politica pornografica, è terribile e oscena, ma siamo sicuri che la soluzione sta in un manipolo di persone che di teatro ne parla tanto ma ne fa poco? Mi auguro che il Valle possa essere dato in mano ad un condottiero teatrante vero, niente politici per favore, niente attorucoli per favore, niente masse di avvoltoi che ora si stanno cibando di un cadavere proponendo spettacolini in un grande TEATRO per favore!
Finalmente qualcuno ha il coraggio di dire le cose come stanno!
“Com’è triste la prudenza”:è vero, ma quello di questi giorni è solo il velo esteriore del coraggio, o forse non ha nulla a che fare con questa nobile qualità…chissà…
Mitico Nebbia!
Concordo su alcune cose, ma la proprosta di Silvio Orlando non mi é sembrata così campata per aria!!!!
Isabella:
occupiamo un teatro per imprimere un segno forte, per dimostrare che è la politica culturale di questo paese ad essere sbagliata e poi lo diamo in mano a qualcuno che quel problema non lo sente? Non ci serve a niente che personaggi che in qualche modo rappresentano quella malagestione (o comunque la alimentano) si dicano disponibili a “donare” la propria presenza per fare da padrini. più facciamo così e più saremo eternamente “figliocci” di qualcuno.
Mentre il punto qui è mettere davvero le mani non tanto nella programmazione del Valle, quanto nei meccanismi che ne hanno causato il collasso. Bisogna che ad occuparsi del teatro sia qualcuno che *conosca* il teatro. Questo teatro, l’unico che ha le carte per essere davvero vivo. In questo senso sono d’accordo con il commento iniziale di Andrea, c’è bisogno non solo di gente che *faccia* il teatro, ma di gente che *pensi* il teatro e la sua organizzazione. La proposta di Orlando è sempre quella di chi ti promette “Dai, senza che fai la coda, ti metto in lista io…” e ti fa passare dal retro. Noi abbiamo bisogno di spalancare la porta principale.