Ci hanno abituato a pensare in piccolo, mortificati dai tagli allo spettacolo sanati con magie petrolifere da alchimisti improvvisati, ci hanno costretto a navigare a vista, ad accontentarci dei nostri piccoli spazi, ci hanno convinto di non poter arrivare al grande pubblico, che quello è della televisione e se rimane è appannaggio del cinema o delle aperture serali di lobotomizzanti centri commerciali. Eppure ogni tanto bisognerebbe provare ad aprirli quei cancelli dietro cui abbiamo rinchiuso le nostre paure e tornare per strada, invadere le piazze, e non solo nei giorni di festival.
Soprattutto questa convinzione mi porto dietro da ieri sera (30 aprile) fin da quando il pubblico si affollava per acquistare il biglietto al Teatro Civico di La Spezia, uno di quegli spazi dove le amministrazioni non si degnano neanche di trovare un direttore artistico, ma si affidano a comitati della domenica e pensionati (di qualunque cosa basta che sia stato un posto di responsabilità). Eppure in quel teatro all’italiana, dal boccascena troppo stretto per contenere un’esplosione teatrale come l‘Ubu Rex della Compagnia degli Scarti, con un’acustica improbabile e il sipario beige in tinta con il velluto consumato delle vecchie poltrone, ieri sera si è celebrata una festa, un incontro di tante persone. E sono accorse non per assistere all’ennesimo spettacolo propaggine della cultura televisiva. C’è però una giovane compagnia folle per progetti e modalità di lavoro, vi basti pesare che solo gli attori sono in dodici.
Ai cittadini della Spezia hanno offerto il proprio spettacolo, creando un po’ di quel clamore, nei giorni precedenti, al quale gli assuefatti centri urbani sono abituati solo in caso di elezioni: manifesti, paradossali video interviste all’uscita dagli spettacoli in stagione (“chi è Ubu?” chiedevano al pubblico della Hunziker), performance nei locali, trailer proiettati nei cinema, macchina con megafono a promuovere l’evento come farebbe un politico in qualche paesino di provincia. Ed ecco come per magia le code al botteghino…
Lo spettacolo appunto, con gli attori in fila lungo il corridoio centrale della platea, tutina nera, cerone e sguardo fisso verso la scena dove lui, il nostro antieroe, Padre Ubu è già al centro del palco, seduto tiene davanti al volto un quadretto nero incorniciato di bianco. Simbologia geometrica che lo sovrasta anche alle sue spalle nella scenografia semplice e monocromatica di Alessandro Ratti, con il ventre del teatro a vista. Gli spettatori cercano il posto dribblando gli attori ancora immobili, taluni si fermano a guardarli, altri li sfiorano. Sistemato il pubblico, momento di pausa e poi via si parte, gli attori corrono sul palco cominciando quell’orgia teatrale con cui Enrico Casale ha costruito il suo spettacolo.
Padre Ubu mangia resti umani mentre urla la propria sete di potere collezionando una serie infinita di acrobatici e gustosi coiti. Ha lavorato sulla coralità Casale, creando una scena in perenne movimento, slegando talvolta le azioni dalla logica del testo (come in un certo Kantor degli inizi) rimarcando il proto-surrealismo di Alfred Jarry proprio nel surrealismo dei maestri polacchi, guarda caso è la Polonia protagonista nella pièce di Jarry. In questo contesto la scenografia non può che essere quasi interamente mobile, ricostruibile ad ogni scena, parte fondamentale insomma di una scrittura registica che procede per sintassi musicale più che testuale. Così anche la recitazione è portata verso la strada senza ritorno del parossismo e gli attori tutti, nonostante l’acustica del teatro spezino, portano le proprie corde vocali a esplorare buie paludi come cime dalle vette assurde aumentando e diminuendo il passo e cangiando pure il timbro in un gioco al massacro perso in partenza (data la giovane età di quasi tutti gli interpreti), ma riuscendo a tener lontana la noia e la banalità.
Elicotteri, fucili giocattolo combattono contro sciabole rosse e la presa del potere è un disordinato gioco in cui Padre Ubu viene incoronato con un paio di scarpe bianche legate al collo. Demenzialità pura e canti gregoriani. L’eliminazione degli aristocratici da parte dell’improbabile gerarca è un tuffo che si ripete sulle braccia pronte della compagnia con una danza del violento ed egoista oligarca sempre più carica di sarcasmo e macabra ironia. Tutto ciò è Ubu Rex degli Scarti. È la rappresentazione del potere e delle sue più ingiuste deformazioni, talmente distorte da essere reali, ma per Casale è anche un potente con l’esile corpo da adolescente che si prepara alla guerra con un’armatura bianca che sembra una zucca, la spada di plastica in una mano e un palloncino a forma di cavallo nell’altra, surreale destriero di un uomo tanto assetato di potere quanto ridicolo.
E ce ne sono ancora molti di uomini così, sono anche loro che ci hanno abituato a nasconderci, dentro rifugi d’occasione o castelli dorati che siano, gli Scarti per una sera sono fuggiti e hanno invaso il regno.
Andrea Pocosgnich
visto il 30 aprile 2011
Teatro Civico
La Spezia
Ubu Rex
Regia: Enrico Casale
in scena: Alessandro Cecchinelli, Maria Stella Di Biase, Davide Faggiani. Simone Biggi, Raffaele Briganti, Daniele Cappelletti, Ino Cecchinelli, Rossana Crudeli, Chiara De Carolis, Giovanni Franceschini, Davide Ragozzini, Paolo Turini.
Scenografie Alessandro Ratti e Officina Teatro De Carolis
Datore Luci Daniele Passeri
Suono Andrea Cerri
Costumi Rossana Crudeli, Davide Faggiani con Cristiana Suriani
Trucco Elisa Fialdini
Segretaria di produzione Sara Navalesi
Collaborazione artistica: Eva Babbini
Collaboratori: Michele Bedini, Rocco Malfanti, Marco Oligieri, Stefano Rolla, Ilaria Zappelli
Spettacolo entusiasmante per intensità, ritmo e forza dirompente… Seguirò questa compagnia d’ora in avanti!