Alcuni l’hanno paragonato a Shakespeare, certo il protagonista di questo dramma di Vitaliano Trevisan è una sorta di imperatore, un grottesco condottiero fotografato negli ultimi attimi della propria vita. Mentre rivive il glorioso passato, sputa sentenze sui suoi meschini successori lamentandosi della giustizia, inesistente a suo dire. Il protagonista creato dall’autore veneto, è l’ultimo esemplare di una specie estinta, formata a suo tempo da politici colti e carismatici, la sua scrivania in Tunisia è il campo di battaglia, la solitudine è quella del Riccardo III. Ma la struttura dello spettacolo è più cechoviana che elisabettiana: non ci sono personaggi pronti a tramare intrighi di ogni tipo pur di raggiungere il potere; l’uomo seduto per tutto lo spettacolo dietro una scrivania è un uomo che non guarda più al futuro, è un uomo capace di guardare solo al passato. Non vi è azione alcuna in scena, non ci sono cambiamenti di stato e quello a cui lo spettatore assiste per quasi 2 ore è un monologo continuo.
Una notte in Tunisia messo in scena da Andree Ruth Shammah al Quirino fino a fine settimana (22 maggio) è probabilmente il lavoro più interessante passato nel cartellone di via delle Vergini e lo è proprio nonostante quell’immobilismo di azioni e personaggi. Perché, parafrasando le parole della regista in una recente intervista, qui è la forza della parola a scaturire dalla scena. Abilmente dunque la Shammah ha sfoltito la propria idea di orpelli e trovate registiche lavorando completamente sul centro propagatore, il mister X interpretato magistralmente da Alssandro Haber. Naturalmente X è Craxi nella drammaturgia di Trevisan ispirata al libro di Bobo Craxi e Gianni Pennacchi “Route El Fawara”.
Shammah si allontana il più possibile dal dramma storico e dall’agone politico amplificando il grottesco presente nel testo di Trevisan: nessun ricorso a una scena realistica (semplicemente una tenda bagnata da luci azzurrine e arancio), il doppio ruolo giocato da Pietro Micci (domestico e narratore), l’impossibilità al dialogo e nel finale un surreale e immediato mutamento di rotta verso un’ improbabile svolta da thriller. La negazione della relazione dialogica ci riporta a Cechov: Haber esplicitamente legge la propria parte su un copione, senza preoccuparsene gira le pagine, o se le fa girare, combinando così un aiuto determinante per la propria memoria (il mister x di Trevisan è un fiume di parole) ed evidenziando proprio quell’impossibilità al dialogo metafora del discorso politico.
Tutti gli altri personaggi (moglie, fratello e domestico) in realtà gli sono estranei, gli girano intorno incapaci di tessere dialoghi sinceri, risultando solo amplificazioni della solitudine di X, distaccati osservatori del suo degrado, impotenti spettatori di un corpo che si imputridisce nella malattia e di una mente ancora viva, ma intrappolata nell’ “ingiusto” passato.
Il Craxi interpretato da Haber, che ne simula i toni e accenti imitandone perfettamente l’ars oratoria, diviene così il simulacro di un condottiero, ma anche la sua immagine proiettata già nell’aldilà, contrappasso infernale di un un eterno comizio.
Andrea Pocosgnich
in scena fin al 22 maggio 2011
Teatro Quirino [vai al programma 2010/2011]
Roma