HomeVISIONIRecensioniChrista Wolf nelle mani di Frattaroli: il dolore nell'anima della pietra

Christa Wolf nelle mani di Frattaroli: il dolore nell’anima della pietra

Nella pietra è conficcato l’uomo, nella pietra l’anima si strugge di libertà e il corpo n’è carceriere: l’anima della pietra dibatte con la materia e il suo uso, si plasma la forma per mano del suo correttore di asperità, emerge di vitalità fuori dalla misura in cui è confinata. Enrico Frattaroli porta in scena Nella pietra di Christa Wolf, il testo della separazione tra corpo e anima parlante, della dualità tra coscienza e incoscienza, in cui l’uomo è sempre pari a sé stesso e nessuna delle due prevale, ma in cui risuona la voce di una donna sovrapposta all’immagine del suo corpo, in cui essa si muove: a testa in giù, immobilizzata, in scena una magnifica Anna Paola Vellaccio.

Un velo separa la scena, velo nero e fondo verde (assente totale il bianco categorico) cade a piombo sulla donna distesa e pronta alla sala operatoria, di lei si vede la testa rivolta al soffitto, si ascoltano pensieri sul confine della coscienza, mentre perde pian piano aderenza alla terra e sembra consegnata a una dimensione fatta d’aria: il velo, l’anestesia; attorno è la liturgia dell’asportazione del dolore, che tuttavia non ne tira mai via il ricordo e il dolore accoglie l’intensità della reiterazione, la continuità del male. Nell’atmosfera di profonda eleganza e rigore, di asettica eppure calda anticamera, Frattaroli disegna un’ambientazione in grado – col velatino e le proiezioni su nero – di separare e coinvolgere assieme, dirigendo assolvenze e dissolvenze della luce con grande fluidità e costruendo un cono di luce come un taglio, la lama di una ghigliottina che divide la parte sana da quella malata.

Il testo della Wolf, in originale, passa in un sotterraneo di coscienza, come voce off intima ed interna, sottofondo della traduzione per labbra dell’attrice, come fosse l’eco di ritorno, voce d’anima che dalla pietra si esterna tradotta: dalla materia alla sua forma; l’operazione è dietro il corpo, nello spazio che si oscura e poi si svela, per mani ignote che non hanno parte nella lotta con il dolore, soltanto ne partecipa la loro tecnica sequenziale di gesti; attorno la musica e l’ossimoro di un Mozart gaudente negli interstizi di un dolore.

Uno spettacolo dunque di profondo spessore, gestito con mano ferma e saggia dal suo regista e interpretato con una prova fisica di assoluto rilievo dall’attrice che immola le sue arti all’immobilità, riuscendo in un compito improbo ma che mai è sembrato così semplice. Possente anche la suggestione pittorica, non soltanto denunciata (come nel caso della Medusa proiettata e del citato Kandinsky), ma anche quella rivolta alla tradizione moderna assistenziale attorno al Cristo morente, sorretto dai presenti e appena deposto dalla croce: tolta l’immagine resta il dolore, anestetizzato dalla cura, ma la croce resta conficcata come un chiodo nella carne, nell’anima della pietra.

Simone Nebbia

in scena dal 11 al 15 maggio 2011
Teatro India
Roma

Nella pietra
di Christa Wolf
adattamento, progetto di scena e regia di Enrico Frattaroli
con Anna Paola Vellaccio
Mariateresa Pascale, Valentina Rosaroni, Ivan Marcantoni
produzione Florian Teatro Stabile di Innovazione

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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