“Lui bravo, bello e bravo. Con questo accento rumeno per tutto il tempo…”, “pesante, però bravi veramente”, “e poi la regia perfetta”, alla fine, nella seconda parte sono entrata dentro, mi ha preso di più”, “come si dice? Multimediale ecco.”
Queste alcune voci del pubblico all’uscita mentre io mi dirigo verso le recensioni dei “fratelli maggiori” aspettandomi chissà che cosa da quelle pagine ingrandite e plastificate all’entrata della platea del teatro intitolato al padre. Padre che stavolta è lui, Alessandro, come sottolinea Cordelli, ma poco altro trovo tra quei caratteri da stampa nazionale: uno evidenzia il lavoro di Edoardo Erba nella traduzione e adattamento, un altro la bravura degli attori (proprio come il pubblico), dal Corriere si loda la maturità raggiunta da Gassman…
Roman e il suo cucciolo in scena fino al 17 di Aprile, vincitore di uno degli ex aequo come miglior spettacolo dell’anno agli ultimi Ubu, è un drammone molto familiare e poco sociale, nonostante il solito e retorico messaggio finale firmato Amnesty International. Il testo originale di Reinaldo Povod nell’ 86 fece il sold out per tre settimane a New York anche grazie all’interpretazione di De Niro, lui era Cuba, spacciatore ispanico. Nella produzione dello Stabile del Veneto Cuba diventa Roman, immigrato rumeno approdato a Roma dopo la caduta di Ceauşescu, qui ha un figlio cresciuto da italiano, il quale, ormai diciassettenne, si fa di eroina (nell’era delle pasticche, degli acidi e di tutta la chimica pulita a basso costo?) per sfuggire dalla tristezza familiare e da un padre cocainomane e spacciatore.
Il cucciolo è questo ragazzo (il premio Ubu come migliore attore under 30 Giovanni Anzaldo) tenuto alla catena da un padre padrone che come un rottweiler abbaia al minimo presentimento. Il ragazzo, giovane Bukowski di periferia, incontra sulla sua strada il Che, artista tossicodipendente che in passato poteva vantare una canzone in finale a Sanremo.
In un magazzino adibito a casa nella periferia romana (perfettamente ricostruito nel segno di un irrinunciabile realismo scenografico) si svolge l’intero spettacolo, quello definito pesante dal pubblico, per una durata sproporzionata rispetto al contenuto (dato che per tutto il primo atto non accade nulla), uno spettacolo multimediale come osservava l’altra spettatrice. Come in La parola ai giurati Gassman rinchiude dramma e compagnia dietro a un finissimo velario che opacizza un poco la scena ma permette stupefacenti proiezioni meglio che al cinematografo: cieli stellati, ricordi in bianco e nero ed esplosioni sanguigne appaiono sulla quarta parete con quell’ingenuità di chi, nell’era del 3d casalingo, crede di stupire il pubblico con effetti speciali. Per accumulo di segni si muove l’estetica proposta da Gassman. Nei momenti in cui le parole di Podvod già nel loro intreccio colpiscono duro, la regia sottolinea con l’immagine e la musica – che più didascalica non si può – i tragici avvenimenti. La recitazione, urlata sin dall’inizio, contribuisce alla creazione di un prodotto a mio avviso tutt’altro che maturo. La sensazione è quella che ti lascia addosso un b-movie neanche troppo cult, uno di quei film americani che al cinema neanche escono e vanno diretti al mercato del trash in home video o delle seconde serate televisive. L’eccesso non diventa segno distintivo, non entra a far parte del racconto teatrale, ma tende solo a voler indirizzare le emozioni del pubblico forzandone l’immaginario con un’iconografia da sobborgo malfamato e misticismo zingaresco.
Prima dell’inizio dello spettacolo, mentre la platea si riempiva quasi in ogni posto, una signora in bianco accanto a me spiegava al suo accompagnatore cosa avrebbero visto: “Roman e il suo cucciolo si chiama. Ma che ne so, è la storia de uno straniero che c’ha un figlio… no ma infatti casomai all’intervallo ce ne andiamo”, e così hanno fatto.
Andrea Pocosgnich
in scena fino al 17 aprile 2011
Teatro Quirino [vai al programma]
Roma
dal martedì al sabato ore 20.45
giovedì 31 marzo, mercoledì 6 e 13 e sabato 16 aprile ore 16.45
tutte le domeniche ore 16.45
ROMAN E IL SUO CUCCIOLO
Cuba and His Teddy Bear
di Reinaldo Povod
regia Alessandro Gassman
adattamento Edoardo Erba
traduzione Edoardo Erba
con Alessandro Gassman, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Giovanni Anzaldo, Matteo Taranto, Natalia Lungu, Andrea Paolotti
scene Gianluca Amodio
costumi Helga H. Williams
musiche originali Pivio&Aldo De Scalzi
light designer Marco Palmieri
sound designer Massimiliano Tettoni
elaborazioni video Marco Schiavoni
che dice il pubblico?
interessante…
una precisazione, pare che ‘eroina ora stia andando nuovamente di moda…
anche io me lo sono chiesto perché, ma pare sia così!
mi piace molto il vostro sito! se avete tempo fate un salto sul mio blog!
veramente interessante questo sguardo incrociato sul pubblico. forse te lo copio. complimenti!
Beh, non è una novità. è il solito problema del teatro di oggi. Il quirino in primis: gli abbonati! Gente che va a teatro a vedere spettacoli che nemmeno sa come si chiamano. almeno loro hanno avuto la compiacenza di andarsene.
Lì ci andai a vedere un lavia che più cinematografico e inutile non si può e gli spettatori (gli stessi abbonati che fagocitano nomi come se fossero eroi televisivi) applaudivano come pazzi. qual è la soluzione?
Il teatro è quello di Emma Dante in Trilogia degli occhiali, questo parodia cinematografica. Io sono il pubblico e ieri sera mi sentivo a disagio all’uscita quando tutti erano commossi. Solita storia di droga violenza emarginazione degrado suburbano urla sangue polvere stracci ed effetti speciali da schermo gigante in 3D. Lasciatemelo dire: teatro nazional-popolare. Mi sembrava di stare a vedere L’Arena di Giletti. Andrea Pocosgnich non se n’è fatta sfuggire una!! E meno male!