La verità è inaccettabile, sembra voler dire qualcosa del genere Luca Archibugi in questo suo Per filo e per segno, drammaturgia datata alla metà degli anni ottanta e portata oggi in scena dalla regia di Pippo Di Marca e da tre attori: Cloris Brosca, Veronica Zucchi e Alberto Di Stasio. La verità è il brandello di quello che resta ed è sempre altrove, sempre inafferrabile e inconclusa, accecata dal tempo che scorre e lascia tracce illusorie di ricostruirla; la tensione ad essa è una delle più grandi menzogne della vita umana. Tutto questo passa con viva forza, dal testo di Archibugi, anche a distanza di molti anni, a dimostrazione che una buona drammaturgia resiste al tempo anche passato, curiosamente proprio di quello promettendosi di parlare.
Troppo torna dopo anni di oblio, è un uomo che ha perduto al gioco una donna, che fosse la sua o meno, poco importa; Fedora e Norma sono due donne perdute al gioco, tanti anni prima. Attorno la figura mancante, la verità, che si chiama Piroga ed è forse morto o forse no, che diceva cose di cui si ha un ricordo pallido ma se ne riconosce l’importanza determinante; Troppo è a testimonianza del tempo che ha sbiadito la verità conosciuta, è smemorato senza ritegno, deborda (troppo…) oltre i confini di ciò che è stato allora e in cui ora non si riconosce più. C’è nel testo una continua allusione a qualcosa che non c’è, che si chiami Piroga o verità, qualcosa che va chiarito e che resta sospeso come se in un altrove ci sia quel senso, quel motivo che viene negato dall’inizio, di cui viene subito denunciata l’inutilità: tutto quanto dice chiaramente del difetto della memoria, che esiste malgrado il continuo dimenticare.
Una scena prospettica si staglia in profondità, nel mezzo la regia dispone un letto come una bara in cui il passato è sepolto, o almeno è sepolta lì la sua memoria, non però il ricordo che invece lascia quei frammenti inesplosi a galleggiare nel divenire, nel tempo che avanza e vive i giorni di oggi col passo di ieri; lo spazio è delimitato dalla platea per un confine di scarpe da donna che sono un simbolo piuttosto forte del tentativo sempre fallito di combattere con il battito inesorabile; anche le luci sono gestite con assoluto senso prospettico da Pippo Di Marca, che sceglie l’accentramento come cardine significante e ha ragione, perché di questo accentramento gode il testo, incapace a distrazioni.
Nell’ottima drammaturgia c’è tuttavia un solco fra i primi due quadri – simmetriche nell’unità spaziale, in dialogo fra l’uomo e le due donne alternate – e l’ultimo corale in cui l’uomo (Alberto Di Stasio, davvero in forma) esce di scena e le due donne si trovano sole: in quel momento si ravvisa un calo improvviso della tensione scenica e la conseguente dissoluzione dello spettacolo proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe di vederlo salire di tono. Ma questo non inficia il buono che si porta: Per filo e per segno è la dichiarazione di un fallimento, quello dell’uomo che ricorda e non rintraccia mai una verità sempre diversa a ogni tentativo, come se proprio il ricordo alla memoria fosse inservibile.
Simone Nebbia
in scena fino al 22 Aprile 2011
Atelier Meta Teatro
Roma
Per filo e per segno
di Luca Archibugi
con: Cloris Brosca, Alberto Di Stasio e Veronica Zucchi
Scene e costumi: Luisa Taravella
Musiche: Arvo Part
Regia: Pippo Di Marca