HomeVISIONIRecensioniPenombra del primo mattino. Riflessioni dopo il debutto del nuovo spettacolo di...

Penombra del primo mattino. Riflessioni dopo il debutto del nuovo spettacolo di Fabio M. Franceschelli

Penombra del primo mattino - foto di Adolfo Trinca
foto di Adolfo Trinca (website)

Quante cose possono accadere nella penombra del primo mattino? Quali meccanismi vengono generati in quell’attimo poco prima che il sole inizi la sua ascesa illuminando le nostre vite? Non c’è in quel momento l’incipit di una creazione? E se ogni giorno quella creazione fosse diversa? Se la vita non avesse quel corso più o meno stabilito che ci costringe all’interno dei nostri corpi, prigionieri nei “personaggi” di noi stessi? La questione è tanto banale quanto assoluta e pone l’ontologico interrogativo “perché io sono io?”, questione che declinata nel caso del tragico accadimento diventa “perché a me?”.
Lavora anche intorno a queste dinamiche il nuovo spettacolo di Fabio Massimo Franceschelli e la sua compagnia, OlivieriRavelli_Teatro, presentato al Teatro Arvalia nella rassegna Ubu Rex II. Gli ingranaggi di una metafisica ricerca verso l’assoluto e il conseguente spaesamento dello spettatore si muovono di pari passo con qualcosa di apparentemente lontano dalla poetica teatrale dell’autore e regista romano: Il dramma familiare. L’autore di spettacoli come Appunti per un teatro politico e Terzo Millennio – il primo un ironico ragionamento in due movimenti sulle categorie politiche e il secondo  un esperimento di “teatro dell’assurdo per i nostri giorni”,  entrambi lontani anni luce dal dramma borghese – in  Penombra del primo mattino presta il proprio ingegno alla scrittura della più classica delle tragedie familiari: padre oramai dedito all’alcol che picchia e violenta i propri figli, uccide la moglie, il carcere che salva i due giovani e porta via il mostro e poi, a distanza di 6 anni, il suo ritorno nelle fragili vite dei due giovani.

foto di Adolfo Trinca (website)

Sarebbe tutto nella norma di un “drammone” ben più adatto al cinema o agli opinionisti del pomeriggio televisivo se non fosse per quel colpo di coda che trascina la narrazione lontano dalle sicurezze di una fabula naturalisticamente intesa. Franceschelli pungola la scena di indizi, avverte lo spettatore di aprire la propria comprensione, lo fa con l’utilizzo di certe luci improvvisamente stranianti, con l’angosciante ripetizione di loop musicali, con la tipica scena del sogno che dopo il risveglio lascia in eredità un oggetto come prova del reale accaduto. Un accumulo di segni che spinge verso la deflagrazione: nel momento in cui la tragedia classica ci ha abituato al gesto catartico e risolutore e poi all’applauso liberatorio – e qui diventerebbe una liberazione collettiva dal mostro – ecco il cambio di direzione, l’applauso viene soffocato e la fabula nella sua concatenazione di fatti e personaggi  si dissolve creando quell’atmosfera interrogativa tipica di un certo cinema alla David Lynch.

Se questi spunti sono naturalmente appassionanti non solo per un amante del mistero o un sezionatore di cadaveri drammaturgici, Penombra del primo mattino deve però confrontarsi con la materia del dramma borghese (centrale nella scrittura) e con problematiche  quasi insormontabili per una formazione di teatro indipendente. E’ chiaro che il dramma così impostato imporrebbe a noi spettatori un patto: ci chiederebbe di emozionarci, di vivere con i personaggi, di creare una viva empatia che possa trovare giovamento dall’avvenimento catartico. Franceschelli anche qui cerca di modificare il punto di vista e creare diversi piani recitativi: il piano fintamente naturalistico del pathos da fiction (i due fratelli interpretati da Lara Brucci e Davis Tagliaferro), la degenerazione del mattatore teatrale (nei panni del padre ex-calciatore, Corrado Scalia) e la sezione onirica centrale con Francesca Guercio e Claudio Di Loreto, queste ultime due sono apparizioni più vicine nel linguaggio e nella recitazione a certi atteggiamenti comico-assurdi degli spettacoli precedenti. L’operazione così intesa diventa (o diventerebbe in un’esecuzione ipoteticamente perfetta) un ironico gioco di specchi e interrogativi sulla  finalità della scrittura drammaturgica e sugli effetti che determinate elaborazioni – nei costrutti temporali, spaziali e negli agenti del dramma – avrebbero sul pubblico. E’ chiaro, il gioco corre sul filo e con pochi mezzi viene amplificato il rischio:  assistiamo a una dialettica tra contenuto e forma che vede nettamente in svantaggio il primo. Penombra del primo mattino raggiungerebbe la sua pienezza di opera solo nella sua perfetta “rappresentazione”, nello svuotamento del contenuto  all’interno di una messa in scena veramente spaesante. Ecco la problematica insormontabile per una formazione indipendente: l’impossibilità, senza una produzione alle spalle, di abbandonarsi alla forma, di creare quella macchina scenica indispensabile per destabilizzare la visione dello spettatore.

Andrea Pocosgnich

visto al Teatro Arvalia (Ubu Rex II)
Roma

Vai all’osservatorio critico di Ubu Rex 2

Vai al programma

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

10 COMMENTS

  1. chapeau.
    davvero una recensione coi fiocchi. chiara e utile. mi fa piacere che siamo d’accordo su molte cose

  2. Cioè? Se non fossero indipendenti cosa avrebbero fatto? tipo con cambi scena girevoli o meno buio di passaggio o un ambiente scenico un po’ Motus? Ho capito il discorso, è solo che non riesco a immaginarmi lo scarto che hai in mente…

  3. non ho capito questa frase, forse c’è un errore? «assistiamo a una dialettica tra contenuto e forma che vede nettamente in svantaggio la prima».
    Forse intendevi in svantaggio la seconda?
    Quindi (non vorrei banalizzare la tua recensione), il concetto è che se avessimo avuto più mezzi (soldi) avremmo potuto e dovuto sbizzarrirci in effetti speciali?
    Uhm… se è questo che intendi seguirò sicuramente il tuo consiglio per una eventuale ripresa.
    Però lo spettacolo era molto complesso a prescindere dalla messa in scena più o meno spaesante. C’è una drammaturgia molto densa e “spiazzante” (parola tue), c’è una narrazione originale, non banale e ben ponderata, c’è una riflessione sul “diabolico” che è in noi, c’è una recitazione articolata su più piani (e condotta da attori a mio giudizio splendidi), c’è un abbondante uso elementi di scrittura scenica quali montaggio, luci, musica.
    Perché si dà per scontato la presenza di tutto questo (come se fosse ovvio) e ci si concentra solo su quel che avrebbe potuto essere se…?
    Il concetto che se ne trae da questa recensione e che le compagnie indipendenti devono limitarsi a “pensare in piccolo”? Siamo off e in quanto poveri dobbiamo restare off?

  4. Facciamo un po’ di chiarezza.

    Forse quell’ultima parte l’ho messa giù in maniera un po’ complicata. Comunque intendevo dire proprio quello che ho detto: “assistiamo a una dialettica tra contenuto e forma che vede nettamente in svantaggio la prima”. Perché mi è sembrato più importante il come quel contenuto era messo in scena che il contenuto stesso (la riflessione sul diabolico che è in noi a mio avviso emerge poco), ovvero tutte le cose che hai elencato anche tu (recitazione articolata su più piani, montaggio, luci, musica).

    Per il resto: non penso solo agli “effetti speciali” (effettivamente una gestione più accurata di musica e luci servirebbe) ma anche a una recitazione che farebbe emergere meglio l’impianto di cui parliamo e per questo ci vuole probabilmente un lavoro diverso sugli attori, con tempi più lunghi.

    “Il concetto che se ne trae da questa recensione è che le compagnie indipendenti devono limitarsi a “pensare in piccolo”? Siamo off e in quanto poveri dobbiamo restare off?” Certo che no, è per questo che ci confrontiamo, è per questo che proviamo a instaurare con voi un dialogo, per far sì che ci sia una crescita, reciproca.

    saluti

    andrea

  5. riposto un commento delle 13e40, antecedente la discussione che si è successivamente accesa, perchè proprio sull’argomento discusso verteva

    intanto piacere, sono il caporedattore di teatroteatro.it, vostro concorrente, ma in campo critico non si hanno rivali se non altre opinioni che aiutano lo spettatore a farsi un’idea di cosa vedere e riflettere su ciò che ha visto.
    non ho capito il finale della tua recensione. non capisco cosa intendi per effetto spaesante. più fondi contribuirebbero a questo? una produzione aiuterebbe a creare una macchina scenica per ottenere cosa? più forma aiuterebbe la fruizione del contenuto? ma quale forma?
    http://www.teatroteatro.it/recensioni_dettaglio.aspx?prvz=1&uart=3017&idrap=5003

    qui trovi la mia recensione
    è chiaro che non condivido la tua, ma mi piacerebbe tornare sui miei passi qualora tu ritenessi interessante indurmi a riflettere su ciò che ho sottovalutato

    buon lavoro e complimenti per il sito aggiornato, snello e sempre alla ricerca di novità

    Andrea Monti
    http://www.teatroteatro.it

    • Un commento delle 13,40? Perdona Andrea non ho capito. Alle 13 e 40 non hai mandato nessun commento.

      Ai tuoi dubbi penso di aver risposto col il mio ragionamento precedente.

      La tua recensione ci va giù bella pesante e non mi trova d’accordo mi piacerebbe commentarla ma bisogna registrarsi…

      Mi spiace non ti sia appassionato neanche a certi meccanismi drammaturgici che invece io ho trovato molto interessanti.

      salui

      andrea

  6. L’intera rassegna mi ha fatto riflettere su come sia importate accettare i limiti, e di questi limiti poi farne un punto di forza, andarvi a fondo. Che siano limiti materiali, personali, artistici. Partire da ciò che si ha: un poco che richiama un’urgenza. è quanto mi insegna anche l’ultimo lavoro di Andrea Cosentino. Con lui in scena non c’è nulla, e non parlo solo dal punto di vista materiale, ma anche drammaturgico, non c’è niente, ma a volte il vuoto è più loquace. Bisogna avere il coraggio di affrontarlo quel vuoto.

  7. non sono propriamente d’accordo Chiara. Non è il caso di Cosentino che stimo umanamente e professionalmente, ma se c’è un teatro che davvero non mi interessa è quello che vola basso. Il teatro è un’arma straordinariamente potente e complessa, e nella stragrande maggioranza dei casi il minimalismo nasconde solo l’incapacità di gestire tale complessità

  8. ERRATA
    […] assistiamo a una dialettica tra contenuto e forma che vede nettamente in svantaggio la prima.

    CORRIGE
    […] assistiamo a una dialettica tra contenuto e forma che vede nettamente in svantaggio IL PRIMO.

    Credo fosse questo l’equivoco. Oltre ai plurali sono importanti anche i generi.

    • Ecco, questa non l’aveva trovata nessuno, ci voleva l’occhio da mantide del buon Isak, vado a modificare. Siamo riusciti adesso a chiarire ogni dubbio?

      saluti ancora

      andrea

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Nell’architettura di vetro di Williams/Latella

Lo zoo di vetro di Tennessee Williams diretto da Antonio Latella per la produzione greca di di Technichoros e Teatro d’arte Technis. Visto al teatro...