Per fortuna che la drammaturgia contemporanea si chiama così e sconfigge certi retrogradi tentativi di considerare alcune opere maestose come immutabili e non sottoposte a giudizio critico. In questo ragionamento il teatro sta come scudiero della coscienza più nuova, quella che tiene conto del mutamento civile e ne riconsegna un quadro di più precisa veridicità. Questo ragionamento coglie a scoprire, passo per passo, la drammaturgia che il francese Joel Pommerat ha tratto dal Pinocchio di Collodi e che il Teatro delle Apparizioni ha portato in scena per la regia di Fabrizio Pallara. La scelta di Pommerat è quella di privilegiare un nodo che nella storia è tenuto in sordina, quello del denaro, oggi davvero movente di quel divertimento che sovverte la vita del giovane burattino. Cosa, ci si chiede, sarebbe più contemporaneo?
La regia che ne trae Fabrizio Pallara è di grande eleganza, di felice intuizione scenica e stilistica, determinante ne è il disegno di delicatezza e la genuinità del tocco che non ha bisogno di effetti speciali “specializzati”, ma si fida delle sue mani e non cede alla facilità d’associazione, scegliendo la poesia a dispetto della suggestione. Anche la cura formale di maschere, tessuti, colori, è estremamente precisa. Della stessa natura è la composizione musicale “alla Tom Waits” di Valerio Vigliar, decisamente di nobile fattura e grande competenza, che non cerca il colpo dello stupore ma con mezzi semplici compone un tessuto musicale di indubbio spessore, per una tendenza a ricavare dalla povertà esecutiva il massimo dell’evocazione ambientale. Unico elemento da ragionare è l’opportunità di altri tagli sul testo, per un adattamento più agevole alla piena comprensione e all’attenzione, invece ancora vittima di alcune dilatazioni nodose.
Lo spettacolo denuncia fin da subito questo valore innegabile quando, alle prime battute, il narratore cerca l’interazione con il pubblico – in molti casi giovanissimo – e dichiara che questa “è una storia vera”; questa dichiarazione si impone come determinante: si tratta del percorso che fa il burattino a diventare uomo, dalla brama dei denari per il divertimento fino alla piena coscienza del proprio valore oltre, che lo promuoverà uomo. Tuttavia – e questa è la cosa più importante – non lo fa rinnegando la sua vita di burattino come nel finale del libro di Collodi, in cui si dice “contento di essere diventato un ragazzino perbene”, ma prende semplice atto del suo mutamento di maturazione e sembra dire che, senza il burattino, il bambino non sarebbe venuto così bene. Questa idea sotterranea è basilare al lavoro di gestione del testo che ne fa Pallara, cogliendo il massimo dall’evoluzione del personaggio in trasformazione di Pinocchio in maschera e del narratore senza, che verso la fine – burattino e bambino – si identificano: la storia del legno raccontata da un uomo, inizia pian piano, a diventare la storia di un uomo.
Simone Nebbia
in scena fino al 9 gennaio 2010
Piccolo Teatro Eliseo Patroni Griffi [nell’ambito di Eliseo Bambini ]
Roma
Pinocchio
di JOËL POMMERAT
da Carlo Collodi
traduzione Maruzza Loria
con Dario Garofalo, Paola Calogero
Valerio Malorni, Adonella Monaco
Viviana Strambelli
musiche Valerio Vigliar
scene Sara Ferazzoli, Fabrizio Pallara
costumi Laura Rhi-Sausi
regia Fabrizio pallara
produzione teatrodelleapparizioni / Area06
coproduzione
Face à face – Parole di Francia per scene d’Italia 2011
e Accademia degli Artefatti
con il contributo di GRUPPO MAZZILLI SRL