Cari amici. Comincia così la lettera aperta, urgente, di Katia Ippaso che ha seguito l’incontro – e che bello chiamarlo così – dell’ultima sera di Novo Critico all’Opificio Telecom Italia. Pretesto è stata la presentazione del libro che più ci fa parlare, riflettere, condividere esperienze dalla sua uscita ormai da quasi un anno: Questo fantasma, testo ormai di riferimento per il ruolo della critica in quest’epoca delle arti, del teatro in particolare, spunto sempre funzionale di Andrea Porcheddu e Roberta Ferraresi, edito da Titivillus.
Anch’io voglio dirlo: cari amici. Perché nell’incontro davvero-incontro di quel venerdì 3 dicembre che da qualche settimana stavamo aspettando, ci siamo trovati in molti a confrontarci, di diverse generazioni e aree territoriali, ci siamo trovati, è il caso di dirlo, attorno a una funzione che non è dispersa per nulla, di cui sentiamo un’urgenza che non si spiega, che non abbiamo modo di misurare, quantificare, è un prurito di testimonianza, una scelta intima e poi esteriore, una dichiarazione di esistenza attraverso la propria penna, attraverso la costruzione della frase, per la bellezza e l’equilibrio fra armonia e disarmonia che sa legare la parola al suo significato: perché lo facciamo, mi chiedo spesso? Chi mi ha mandato qui? Cos’è che mi fa formicolare le dita alle mani quando qualcosa accade? È il desiderio di essere, di conoscere, che attesta la mia esistenza. E si fa attraverso il ridire, riportare. Appunto, testimoniare. Per questo rivendico la mia/nostra aderenza al reale, alla cronaca, all’intervento diretto o indiretto che sia, purché sia intervento.
Oggi, più che in altre epoche, la necessità istintiva alla testimonianza deve forzare la resistenza e dar conto di sé e dell’accadere, dicendo a viva forza che si tratta della stessa cosa: la prima persona, io difendo, la coerenza della presa delle armi che rende il valore della chiamata ad armarsi. Ripeto che non si tratta di discorso diretto o indiretto. Si tratta di prendere posizione. E tutto questo si chiama scrivere, questo ci rende vivi e presenti, attivi, testimoni del mondo. Quando nel Tonio Kroger di Thomas Mann il poeta protagonista cambia regione, stato, vita e se ne torna nella sua città natale che non vede da tanti anni e per tutti è uno sconosciuto, verrà fermato dalla polizia che indaga su un criminale che casualmente ha fatto la sua stessa strada. Lui non porta con sé i documenti ufficiali, non li ha mai usati; così, alle continue richieste di attestazione della propria esistenza nel mondo, singolarmente proprio nella città da cui proviene, Tonio Kroger si fruga per le tasche e ne trae un foglio, un abbozzo di poesia, scarabocchiato alla buona, ma sulla cui ultima riga egli ha fissato la propria firma. Tanto basterà, perché quello sia il suo documento.
Quel giorno ho visto la forza della comunità, che una volta si diceva “essere sodali”, una cosa per me non nuova, che forse lo è per altri che vedono le nuove generazioni, la “schiera dei giovani” calcare le orme di quelle vecchie, e non è così, questo è quel che dice chi ha paura dei cambiamenti e per fermarli dice che tanto siamo tutti uguali. Con tanti, e da molto tempo, alla stima umana segue quella intellettuale, sia pur con diverse visioni. E ci mancherebbe altro. Quel che intendo è che ci siamo, in tanti, siamo vivi e possiamo, dobbiamo intervenire. In questo periodo in cui il premier di questo paese disastrato nei suoi elementi fondanti definisce i poveri “diseducati al benessere” (perché non ha pensato di dirli: “diversamente benestanti”, come forse ha pensato poco dopo mangiandosi la lingua…), mentre ci guardiamo sbalorditi ascoltando che forse i “negri in mutande” che corrono le maratone in Italia non sono i benvenuti, allo stesso modo di come abbiamo dimenticato il sindaco di Adro che quest’estate ha vietato i menù senza carne di maiale nella “sua” scuola, allora a me prudono le mani, scrivere è l’inevitabile atto di coscienza e partecipazione che non mi potrò mai vietare (non farne tv per raggiungere milioni, perché so che è un mezzo posticcio, forte a dichiarare di continuo il suo limite di essere soltanto comunicazione e non espressione): il nostro ruolo è quel che lega l’arma e la breccia, la mano alzata che rompe la fila, per farlo io dico io e insieme dico noi: è questa la firma, sotto il mio documento.
Simone Nebbia
leggi l’articolo di presentazione di Novo critico 2010
bel pezzo e grazie a nome dello staff.
BAcio,
Dt
caro simone, ci sento molta passione..evviva la passione!
e.f.