secondo capitolo di Epica, Etica e Pop – manovre di uscita dalla post-modernità tra letteratura e teatro. di Graziano Graziani
Tuttavia l’operazione di «One Day» può fornire uno spunto di riflessione interessante per leggere una tendenza che si sta delineando nel teatro internazionale. «One Day», come «Spara/Trova il tesoro/Ripeti» – i diciassette pezzi scritti dal drammaturgo inglese Mark Ravenhill e messi in scena sempre da Arcuri – o come la teatronovela di Rafael Spregelburd «Bizarra», la cui versione italiana realizzata da Manuela Cherubini è attualmente in scena all’Angelo Mai di Roma, sono tutti esempi di utilizzo di una forma insolita per il teatro: il ciclo1. Insolita perché la perenne crisi in cui versa il teatro ci ha abituati a spettacoli sempre più piccoli, con pochi attori quando non uno solo, con scenografie ridotte o inesistenti, insomma un teatro “tascabile” da poter spostare facilmente e a poco prezzo (con l’unica deroga del teatro che lavora sulla visione e intercetta circuiti che si intersecano con l’arte visiva).
Il ciclo non è semplicemente uno spettacolo più lungo – altrimenti dovremmo includere in questo ragionamento anche operazioni come quella di Peter Stein con «I demoni» – o una forma che straborda dai confini abituali del teatro. Certo, sia in «One Day» che in «Bizarra», ad esempio, la scelta di realizzare uno spettacolo fuori scala, fuori misura, è anche una sfida diretta a un sistema teatrale (nel caso italiano) e a una congiuntura economica (nel caso argentino) che sembrano voler comprimere il teatro in modo irrimediabile. Ma la forma del ciclo ha anche delle implicazioni drammaturgiche particolarmente interessanti, che danno il segno di un tentativo di smarcarsi dall’estetica del frammento che ha caratterizzato la stagione del post-modernismo senza però tornare pedissequamente a una messa in scena di tipo classico.
Il ciclo ha a che vedere con l’epica, ne è anzi la sua forma classica, e l’epica è certamente presente in tutte queste opere, che nella loro complessità presentano diversi tratti tipici del racconto epico. A sorpresa, nell’epoca della comunicazione rapida e di superficie, sembra sia proprio il racconto epico, con la sua stratificazione e il suo tempo di fruizione decisamente superiore allo standard abituale, a suggerire una possibile via di uscita dal post-moderno, dalla sua frammentazione, dalla sua negazione del racconto in favore di un’opera aperta dalle letture molteplici e tutte egualmente valide. D’altronde se uno dei pilastri delle teorie sulla post-modernità era proprio la fine della storia – e il concetto elaborato da Francis Fukuyama altro non era se non l’attestazione dell’impossibilità di riprendere un racconto epico della storia contemporanea dopo il crollo del comunismo e la messa in discussione dell’ideale di matrice marxista del progresso come motore della storia –, per converso è proprio con l’epica che la storia inizia. Perché è l’epica l’unico genere in grado di partorire i miti fondativi su cui si ergono le grandi narrazioni.
Qualcosa del genere l’ha intuito negli stessi anni la letteratura, che proprio nell’ultimo decennio ha cercato di uscire dall’empasse in cui si era cacciata tempo prima, messa alle corde da un minimalismo più di idee che stilistico. Nel nostro paese si possono ricordare operazioni come i «Canti del Caos» di Antonio Moresco, mentre la New Italian Epic – termine proposto nel 2008 da Wu Ming 1 per circoscrivere un’insieme di autori e opere letterarie uscite a nell’arco che va dalla seconda metà degli anni Novanta al primo decennio del nuovo secolo2 – è oggi una categoria che anima con forza il dibattito letterario. Anche se questa definizione prende in considerazione romanzi di ambientazione storica o metastorica, è possibile proporre un parallelismo di fondo, magari spurio, con quanto avviene nel teatro dove invece l’ambientazione è rigorosamente legata al presente e addirittura all’attualità. In entrambi i casi, comunque sia, si cerca nell’epica il meccanismo in grado di riattivare gli stanchi meccanismi della narrazione, la scintilla in grado di “avvincere” il lettore/spettatore, come si dice.
1 Per altro Rafael Spregelburd è autore anche di un altro ciclo, la «Eptalogia di Hieronymous Bosch», uscita in Italia in due volumi per Ubulibri, a cura di Manuela Cherubini.
2 Wu Ming «New Italian Epic», Einaudi Stile Libero 2009.
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