Visto durante le finali del Premio Equilibrio 2010 (spazio dedicato alla nuova danza italiana all’interno del Festival Equilibrio di Roma) XD – Scritture retiniche sull’oscenità dei denti, era apparso come una vignetta opaca in cui sembrava ancora poco risolto il rapporto tra ricerca estetica e prassi coreografica. Un limbo in cui idee sostavano inermi ricalcando spesso il teatro dei Kinkaleri e modalità sceniche degli anni Novanta.
A distanza di pochissimo tempo, ospitato dal Teatro Vascello di Roma, Collettivo Cinetico mostra la vera faccia del proprio lavoro, testimoniando l’alto livello di una ricerca tesa alla destrutturazione e ricostruzione della componente coreografica e delle conseguenti dimensioni temporali e spaziali della danza. Una ricerca, che, al contrario di quanto detto precedentemente, diviene percepibile dalla prassi scenica e dall’azione/esposizione dei corpi dei componenti del gruppo (Andrea Amaducci, Jacopo Jenna, Angelo Pedroni e Francesca Pennini). Corpi nudi, sovraesposti, manipolati, marchiati, corpi come superfici bidimensionali, tavolozze di pelle per futuri cartoons, sulle quali emergono, in colori sgargianti, i marchi dei supereroi Marvel, delle tutine Adidas in stile Kill Bill o dei manga giapponesi. Corpi/spazio all’interno dei quali Collettivo Cinetico scrive microdrammaturgie, piccole vignette tese a distruggere mitologia fumettistica e iconografia pop.
Sui bordi di una scena completamente spoglia i performer introducono differenti oggetti che verranno via via utilizzati durante lo svolgimento dello spettacolo (del nastro adesivo, un televisore, dei giocattoli, magliette, tubi di vernice, lavagnette, gessetti, cartelloni…). Terminata l’azione preparatoria, i performer utilizzeranno il nastro adesivo per disegnare sul suolo piccolo spazi rettangolari o quadrati all’interno dei quali compiere i propri movimenti, vignette trasparenti sulle quali si scrivono le storie di buffi ed irriverenti supereroi. L’immaginario fumettistico è immediatamente declinato nella sfida a cui corpi si sottopongono, sempre costretti all’alterazione della loro quotidiana struttura, posti in situazioni di sforzo, di goffo pericolo – pelli tirate, divaricatori dentali, piedi portati dietro la nuca – oppure plasmati in posizioni eroiche, caratteristici movimenti da combattimento per supereroi selezionati ed isolati nella composizione di minuscoli e ripetitivi quadri scenici. Francesca Pennini danza con occhialetti 3D all’interno della propria vignetta mentre si esprime con asterischi e cancelletti all’interno di balloon bianchi appoggiati per terra o tenuti in alto vicino al suo volto. Un nudo Spiderman apre e chiude continuamente la sua mano come a voler lanciare la propria ragnatela. Un Superman, altrettanto nudo, si lancia in aria con il suo mantello rosso pronto a volare sorretto da altri due performer mentre giocattoli per bambini sono utilizzati per alterare le voci e creare tipici effetti sonori da cartone animato. Il passaggio iconografico dalla Marvel ai Manga è repentino, i performer si spogliano, indossano mutande bianche, le azioni di lotta assomigliano improvvisamente a quelle dei picchiaduro nipponici (vedi Tekken), Geishe stilizzate appaiono in vignette rettangolari (sempre disegnate con il nastro adesivo), occhioni giganteschi vengono appiccicati sui volti dei danzatori fin quando X orizzontali, scritte su fasce da porre sopra gli occhi, non annullano tutta la fisicità dei volti dei performer riconducendoli ad una definitiva bidimensionalità.
Una patina d’arte pop copre il lavoro concettuale di Collettivo Cinetico, che affonda nelle tinte di Roy Liechtenstein, si tuffa nelle serigrafie di Andy Warhol e nelle più recenti sculture di Takeshi Murakami per stravolgerne il senso in una danza che è al contempo abiura e celebrazione dell’iconografia di massa, della sua capacità di creare mondi virtuali, miti, eroi; di catturare, scrivere, imprimere, la retina degli spettatori. Le immagini create dal gruppo cadono sulla scena come una cascata di segni significanti mai riconducibili al proprio reale significato ma latitanti in uno stato di significanza. Ed è proprio tale stato a dettare i tempi della performance. La ripetitività priva le azioni, già decontestualizzate, del proprio fine, le estrae dall’iconografia a cui appartengono. Lo studio dello spazio si focalizza in maniera esplicita sul concetto foucaultiano di eterotopia, ogni vignetta è un luogo di sospensione, di neutralizzazione dello spazio scenico. Ed è in questo luogo che i personaggi perdono la possibilità di recuperare una, se pur superficiale, personalità, la propria pop identità, in una parola la propria eternità.
Ridicolizzati gli eroi, rimane solo il biancore dei denti, un ghigno osseo, un sorriso forzato; l’oscenità di ossa bianche prive di qualsiasi emotività.
Matteo Antonaci
visto al Teatro Vascello
il 23 novembre 2010
Roma