Quieto il velluto della poltroncina rossa, seduto nella platea del Teatro InStabile di Roma.
Posti laterali, ma molto avanti. Il posto dell’occhio allenato, penso. Al mio fianco un signore che ho già visto, alla televisione in giro qua e là, opinionista di carta stampata e scrittore di libri di grande successo; siamo soltanto io e lui, lungo una fila di tre poltrone, una è vuota. Vuole conversare, gli lascio il braccio, mi dice “come va come va! Che fa qui!”, con fare scherzoso. “Scriverò, di questo spettacolo…”. “Ah! Critico! Mi fa lui…Ma sa che anch’io da giovane ho cominciato facendo il critico in teatro? Solo che allora non era così facile entrare…così mi scrivevo da solo una lettera che chiedeva i posti in platea, firmando: la direzione; poi la recapitavo come un fattorino al foyer del teatro e dopo telefonavo chiedendo: sono XXX, avete ricevuto dalla mia redazione la richiesta di accredito a mio nome per lo spettacolo di questa sera?” Ride, rido anch’io. Stavolta abbiamo fatto meno fatica per essere qui a goderci questo Edipo Re, tradotto bene da Raul Montanari con regia di Antonio Calenda, in scena – non solo ma poco ci manca – Franco Branciaroli.
Di Edipo sappiamo già tutto, la storia, la tragedia. Edipo è il re macchiato del sangue di suo padre e sposo di sua madre, re inconsapevole dei martiri cui il suo regno ha costretto il mondo attorno, la sua è colpa dell’umanità, una caduta vertiginosa e inafferrabile nel pozzo del destino. Edipo/Branciaroli racconta la sua storia, prende coscienza della sua mostruosità – indotta ma connaturata – nell’evoluzione spettacolare; se ne sta steso su un letto, sembra stanco, un uomo di spalle su una sedia lo ascolta, attorno un coro mobile di giovani attori appare nell’altissima scena architettonica, monumentale, nelle tinte forti di una luce nebulosa e sfumata che contende la penombra. Questo il quadro, e di quadro vorrò parlare perché forse il valore di questo spettacolo è tutto nella luce splendida con accenni pittorici di rilievo, sfondi da pittura barocca di forte suggestione caravaggesca, fiamminga, una estetica tenebrosa che rimanda alle sete nere e rosse di Rembrandt o la cupezza del Cristo di Francisco de Zurbaràn.
Pur tuttavia, salvando dunque la suggestione pittorica, lo spettacolo non convince per alcuni elementi determinanti e purtroppo attesi: Branciaroli agisce da mattatore, “fa la voce” e abusa di gassmanite, imposta timbri cavernosi e tremolii, finendo cioè in una prevedibilità interpretativa che rischia di compromettere il valore di cura e devozione al testo sofocleo, tra i più belli, ma cavandosela comunque con la maestria di grande attore; il problema è che alcune volte rischia di imitarsi, di farsi il verso da solo, e questo di certo è un disturbo. Altro nodo è la regia, di vecchio, troppo vecchio stampo: i continui buio-luce, affiancati a una musica abituale, fanno cadere nella didascalia lineare e quindi poco espressiva, piatta, l’intero spettacolo; da segnalare l’ottima idea iniziale di far interpretare a Branciaroli i tre personaggi di Edipo, Giocasta e Tiresia, perché qui c’è un solo personaggio in effetti: la tragedia, idea tradita da una risoluzione troppo affidata all’attore, mentre l’entrata della donna in silhouette d’ombra con cappello e veletta, ma con la voce di Branciaroli registrata (malissimo) è al limite del kitsch e cerca di uscire dalla tradizione confermandone l’eccesso.
Dunque, al di là della prova d’attore che potremmo ogni volta sottolineare – ma questo lo so da casa – o degli attori del coro che avrebbero anche un valore se non facessero tutti la stessa voce finta, totalmente irreale, mi resta di aver visto un Edipo Re abbastanza canonico, cui imputo un guaio non individuale ma collettivo: la fissità di certi codici precostituiti non rappresenta in alcun modo la mutevolezza del reale, la sua complessità, e non sarà la suprema arte della tragedia sofoclea, anche mirabilmente espressa, a giustificarne l’uso. Perpetuandone un abuso.
Guardo il giornalista famoso lì di fianco, mi dice: “bello no?” Io annuisco poco convinto, gli dico: “questo teatro non ha ancora un direttore, ci vorrebbe un uomo di gusto: lei lo farebbe?”. “Io??? Ma no!” mi risponde, mentre batte le mani all’attore che s’inchina, alla sua giovinezza di critico d’arte, alla poltroncina sempre più rossa di un teatro che non se ne va. Eppure, mi dico, non se ne va mai.
Simone Nebbia
visto alla prima del 9 novembre
in scena fino al 21 novembre 2010
Teatro Argentina – vai al programma del Teatro Argentina 2010/2011
Roma
Prossime date:
22 novembre Pietrasanta (LU)
23-28 novembre Teatro Corte, Genova
29 novembre Teatro Civico Politeama Buglione, Bra (CN)
30 novembre-1 dicembre Correggio (RE)
2-5 dicembre Teatro Storchi, Modena (MO)
8-12 dicembre Teatro Diego Fabbri, Forlì (FC)
14 dicembre Teatro Excelsior, Empoli (FI)
15 dicembre S. Croce (PI)
16 dicembre Teatro Comunale, Lonigo (VI)
17-19 dicembre Teatro Comunale, Treviso (TV)
7-9 gennaio Teatro Giglio, Lucca (LU)
11 gennaio Teatro Sociale, Mantova (MN)
12-16 gennaio CTB Teatro Stabile Brescia (BS)
EDIPO RE
di Sofocle
traduzione Raul Montanari
regia Antonio Calenda
con Franco Branciaroli
Francesco Benedetto, Emanuele Fortunati, Gianfranco Quero, Alfonso Veneroso
e con (in o. a.) Livio Bisignano, Tino Calabrò, Angelo Campolo, Filippo De Toro, Luca Fiorino, Luigi Rizzo
scene Pier Paolo Bisleri
costumi Stefano Nicolao
musiche Germano Mazzochetti
luci Gigi Saccomandi
Teatro Stabile Friuli- Venezia Giulia, Teatro de Gli Incamminati, Teatro di Messina
Pare proprio che una critica teatrale per essere “di punta” debba per forza essere negativa e trovare forzate citazioni (gassmanite! addirittura!)Si sottace invece la chiave nuova di lettura, tutta psicanalitica di Calenda, con i vari personaggi che sono parti di sè nella eterna tragedia umana di avere ciascuno, anche se re, nel suo fondo un dolore con cui talvolta per sopravvivere è bene non confrontarsi; ecco perchè Edipo, Tiresia e Giocasta tutti in un uno (Branciaroli). Si parla di lettino e di uomo seduto di spalle. sfugge la situazione di seduta psicanalitica in cui ha voluto contestualizzare l’opera il regista?
Gentile Stefania,
onestamente non scrivo critiche di punta, al massimo punto sulla critica per capire alcune cose di me e della realtà che vivo. A me questo spettacolo è parso invece venire da una realtà che vivevano – imperfetto – altri qualche tempo fa. Tanto per dire che, sia pur di qualità l’interpretazione dell’attore, trovo che non abbia più senso recitare a quel modo vibrante e ampolloso, mi pare che appartenga a un altro tempo, tutto qui. E questo non l’ho proprio “sottaciuto” nemmeno un po’.
Quanto alla chiave psicanalitica, che tu mi definisci nuova (!!!): una volta che io l’ho così bene espresso, come fatto da te, cosa ne viene? Non è un percorso che mi interessa la psicanalisi applicata al teatro, la trovo un desiderio di complicare una materia invece fluida e già di per sè naturalmente adatta all’espressione. Sul fatto che la chiave sia nuova, non per dire, ma davvero Edipo non è mai stato trattato così dal secolo che ne ha fatto proverbio il “Complesso” famoso? E pure mi sfuggisse una certa chiave qualsiasi, piuttosto che individuarne altre: io scrivo critica o risolvo sciarade? Scrivo una recensione o le note di regia di uno spettacolo, secondo te?