In primis mi preme sottolineare la gioventù di cui si riempiva il Teatro Valle alla prima de L’avaro, certo se voi non sapeste che si parla del Molière secondo Ermanna Montanari e Marco Martinelli, giustamente mi dareste del pazzo o gridereste al miracolo. E invece no, non dovrebbe essere un miracolo, dovrebbe essere la norma, la consuetudine di un popolo universitario (compagni di corso di quelli in ribellione in questi giorni) che riempie il più antico teatro di Roma per assistere a una commedia ancora più antica. I giovani, quelli che tutti davano per anestetizzati, quelli che il rospo non lo ingoiano più tanto facilmente e riempiono di uova palazzo madama. Anche a loro parla il lavoro del Teatro delle Albe, divertendo e appassionando pure chi giovane non è più, ponendo questioni e facendo magari arrabbiare qualche irriducibile della parrucca e del cerone.
E l’aria che si respira al Valle è da grande teatro europeo, nella consuetudine appunto, di trattare il testo classico come materia viva, terreno fecondo su cui piantare i semi del contemporaneo. Lo si capisce dall’incipit con cui il pubblico viene preso in contropiede: destrutturando con ironia l’oggetto spettacolare, quelli che in questa fase sono tecnici nascondono le scene fino a quel momento in bella vista, portano via un televisore che dal proscenio replicava l’immagine della platea, gli spettatori quasi non se ne accorgono eppure tutto avviene di fronte ai loro occhi, il palco poi pian piano si popola di personaggi ed elementi di scena iniziano ad apparire con loro. L’Arpagone della Montanari è in nero, capelli raccolti in una lunga treccia finemente annodata di rosso, stringe a sé un microfono con asta, è lo scettro del potere e farà di tutto per non farselo portare via.
D’altronde sono proprio Martinelli e la Montanari a descrivere Arpagone come “un piccolo sovrano con la sua corte popolata di larve”, non ne esce bene nessuno. L’avarizia di cui Arpagone è l’officiante ha contagiato tutti come un morbo e chi non ha il Dio denaro come fine ultimo e diretto, ha comunque un interesse da difendere e il piano su cui vengono posti amore e soldi è il medesimo. La tragicità della commedia è evidenziata nella regia di Martinelli con scelte formali in direzione di un decisa bipolarità luce-buio, con stacchi improvvisi dall’oscurità alla luce piena, mutazioni cromatiche dal viola al verde, esplosioni di luce sul pubblico a creare talvolta un palco illuminante, insomma un’oscurità nella quale i personaggi possono nascondere i propri segreti, un buio nel quale Arpagone può sotterrare la propria cassetta piena di denaro e il suo servo Freccia può rubargliela da sotto il naso. E’ il buio che diventa discoteca nel quale tutti ballano accatastati l’uno vicino all’altro, dove le parole si strozzano nell’affannoso movimento. Ed è sempre il buio che circonda Arpagone dopo il furto, qui forse il momento più interessante, la Montanari con i capelli sciolti afferra l’asta del microfono “povero mio denaro, amico mio caro… se tu non ci sei, è finita per me, non so che cosa fare al mondo” la perdita del denaro equivale alla morte. Diventando ridicolo Arpagone, in quel buio animato solo da piccole luci alle sue spalle, invoca il pubblico a resuscitarlo, ad aiutarlo.
La patologica dipendenza nei confronti del denaro, l’avidità di sottrarre la donna al figlio, l’interesse nel far sposare la figlia con un vecchio marchese, costituiscono un sentimento di tragica cattiveria deriso però a colpi di humor nero, con un ritmo vivace in tutti i dialoghi, con le mille sfumature vocali della Montanari grande interprete della traduzione di Cesare Garboli, con la sua voce amplificata ed alterata a tenebroso ossesso.
In questo andamento tragicomico, che trasforma la casa di Arpagone in un cabaret nero, la scrittura scenica di Martinelli è visionaria, immaginifica, nei cambi di scena gestiti con l’utilizzo di luci espressive, nella creazione di uno spazio sempre dinamico e fatto di corpi in movimento; ma non del tutto convincente sul piano dell’impostazione recitativa di taluni attori, tanto che lo spettacolo perde di slancio in assenza della maestosa prestazione fonetica di Ermanna Montanari. Ma questo conta poco, il lavoro è comunque godibile e il pubblico saluta la giovane compagnia e i due maestri con lunghi applausi. In quel momento guardo in alto, i ragazzi hanno riempito anche i palchetti. Alla mia destra, qualche fila più avanti il dissenso di uno spettatore di lungo corso, il suo “non capisco come si fa a trattare un autore come Molière in questo modo” si infrange contro il muro di applausi. La Montanari e i suoi ragazzi fortunatamente non si danno etichetta salutano ed esultano. Un pensiero mi congela il sorriso sulla faccia: l’Eti è stato chiuso. Chi la spunterà il prossimo anno? La tradizione conservatrice e arrabbiata del vegliardo spettatore alla mia destra o la vitalità e l’innovazione che hanno permesso al Teatro delle Albe di essere qui al Valle e portarsi dietro la freschezza del nuovo pubblico?
Andrea Pocosgnich
Spettacolo segnalato tre gli imperdibili 2010/2011 a Roma, leggi l’articolo
visto in il 24 novembre 2010 al Teatro Valle – vai al programma del Teatro Valle
Roma
in scena fino al 5 dicembre
date e orari:
24 novembre. 5 dicembre
24.25.27 novembre ore 20.45
28 novembre, 1 e 5 dicembre ore 16.45
30 novembre ore 19.00
3 e 4 dicembre ore 20.45
Vai all’articolo di presentazione della stagione 2010/2011
Prossime date in calendario per la Tournée de L’avaro
9 – 12 dicembre 2010 – Teatro Fabbricone (Prato)
21 – 30 gennaio 2010 – Teatro Elfo Puccini (Milano)
3 – 6 febbraio 2010 – Teatro Comunale (Ferrara)
16 – 19 febbraio 2010 Teatro della Tosse (Genova)
24 – 27 febbraio 2010 Teatro Alfieri (Cagliari)
L’AVARO
di Molière
traduzione Cesare Garboli
ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari
con Loredana Antonelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Laura Dondoli, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Alice Protto, Massimiliano Rassu, Laura Redaelli
spazio Edoardo Sanchi
costumi Paola Giorgi
musiche originali Davide Sacco
luci Francesco Catacchio, Enrico Isola
regia Marco Martinelli
Teatro delle Albe Ravenna Teatro
in collaborazione con AMAT e ERT
forse piango.
sì, mi sa di sì.
di gioia, eh…
Chi la spunterà?
Speriamo non Baricco!
Siamo d’accordo.
Che poi il ragionamento di Baricco non era neanche sbagliato, ma non teneva conto del fatto che, almeno in questa fase storica, l’entrata in gioco dei privati è utopistica. Quelli che potrebbero tentare imprese del genere (prendere il teatro ex-Eti e produrre stagioni di qualità come le ultime due) sono pochissimi e tanti invece quelli che rischierebbero di trasformare il Valle in una copia del Quirino… speriamo a questo punto che rimanga nelle mani del Mibac… o forse no.
L’ideale sarebbe che lo Stato fosse illuminato.
Così non é. Il privato é utopia.
Io continuo a credere nell’importanza del ruolo pubblico nella gestione di alcuni spazi teatrali.
Chi lavora al Mibac dovrebbe essere preparato e illuminato, ma questo é un altro discorso.