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Pilade di Pasolini e lo spettacolo “parodia” di Bruno Venturi

Fino all’ultimo momento mi sono chiesto se fosse il caso di scrivere questo pezzo. Forse alcuni di voi credono sia un piacere per noi scrivere recensioni negative, no, non siamo insaziabili creature a caccia di bruttezza. Certo alcune volte il piglio ironico ci aiuta a parlarvi di questa o quell’altra opera da evitare, ma vi giuro che alla lunga l’ironia può iniziare a vacillare, a perdere colpi di fronte all’irrappresentabilità di alcune opere sceniche, e allora rischia di prevalere lo sconforto. Vi dico questo perché negli ultimi anni il nostro teatro ha fatto molto per recuperare il pubblico perduto, gli stabili pubblici e privati addirittura hanno iniziato a programmare, sempre con il contagocce per carità, un teatro più schiettamente artistico che commerciale e il pubblico giustamente ha iniziato a fiutare nuovi odori da un olfatto che in molti davano per assuefatto. Anche l’ottima programmazione del Teatro Vascello va in questa direzione e mettere in scena il Pilade di Pier Paolo Pasolini poteva essere un importante inizio. Come il Pasolini cineasta è bandito dalla programmazione delle reti tv, il Pasolini drammaturgo con difficoltà trova spazio con i propri testi nei teatri italiani, quei testi con cui il sublime intellettuale rivendicava la fattibilità e l’esigenza di un teatro di parola. Per questi motivi qualche domenica fa decisi di passare il pomeriggio al Vascello.

E quello che ho potuto vedere e ascoltare era talmente lontano da qualunque forma di bellezza da farmi venire quei dubbi che mi angustiano dall’incipit di questo articolo. Poi ha prevalso la responsabilità verso il pubblico pagante che merita di sapere, che ha il diritto di avere una guida. E allora mi trovo qui a parlarvi, per mia colpa troppo in ritardo, di un Pasolini fatto a pezzi, di un testo dalla poesia viva la cui materia è l’umano nelle sue profondità, reso inascoltabile da un gruppo di attori che probabilmente è rimasto al primo stadio della propria ricerca: la prova senza copione. La grazia di Manuela Kustermann (nel ruolo di Elettra) non può nulla, non basta la sua delicata voce a recuperare qualcosa che veramente diventa difficile da definire. La regia sembra inesistente se si esclude qualche trovata (che non provo neanche a giudicare) come il vestito rosso di un Pilade mezzo punk e le sue scarpe ricoperte di bottoni lucenti, o il fondale dipinto che altro senso non ha se non quello di strizzare l’occhio all’opportunità di un paesaggio metafisico. Ed è proprio Bruno Venturi, autore della messa in scena, a venirci incontro sul terreno della composizione registica. Autore appunto, dunque responsabile della visione e dell’ascolto, con l’onere di trattare un materiale incandescente come il teatro di Pasolini, e badate bene si tratta di quella stessa responsabilità di fronte alla quale si trovò più di 40 anni fa Pasolini dovendo ricreare il mito, confrontandosi perciò con Eschilo. Ebbene è proprio Venturi nelle note a scrivere di non aver pensato a un teatro di regia, il problema è che forse non ha pensato proprio alla regia intesa come organizzazione dei materiali attoriali. Il Pilade di Oreste Braghieri e l’Oreste di Antonio Piovanelli sembrano essere rimasti a quel grado zero di approccio con il testo che neanche un debuttante dovrebbe avere. E non mi riferisco per carità all’accento emiliano che ne colora l’approccio fonetico, mi riferisco più che altro a quelle che nelle scuole chiamano “intenzioni”, ma non ne faccio neanche un discorso di metodo, più o meno stanislavskijano, perché nella non-regia di Venturi la parola è lanciata in aria ricercando emozioni che risultano false e il corpo non è da meno, Braghieri e Piovanelli si agitano sulla scena senza riuscire a dare al gesto il significato che questo invece avrebbe nella parola, sono insomma corpi che dicono ciò che stanno per fare senza riuscire a esprimerlo.

Si salvano poche scene, ricordiamo su tutte il monologo di Elettra-Kustermann da bendata in cui Venturi ne amplifica la voce in un accattivante eco. Per il resto sembra di assistere a una parodia, mi tornano alla mente gli intelligenti spettacoli di Fabio M. Franceschelli dove i personaggi utilizzano linguaggi e toni aulici creando spassosi momenti comici, ma qui non c’è una parodia, anzi ci viene chiesto di assistere e credere a un tragico talmente deturpato da poter generare solo un amaro sorriso.

Andrea Pocosgnich
in scena dal 7 al 24 ottobre 2010
Teatro Vascello – vai al programma 2010/2011 del Teatro Vascello
Roma

PILADE
da Pier Paolo Pasolini
con Antonio Piovanelli, Manuela Kustermann, Oreste Braghieri, Salvatore Porcu.
scene e costumi del Pittore Lino Frongia
regia Bruno Venturi
produzione TSI La Fabbrica dell’Attore e La Nuova Complesso Camerata

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

18 COMMENTS

  1. Grande…
    Io la penso esattamente come te nell’incipit ed è proprio per questo che sono andato ad assistere alla prima di questo spettacolo.
    Quando sono uscito ho pensato
    “Se questa sera mi avessero aggredito, picchiato e mandato all’ospedale impedendomi di andare a teatro, con il senno di poi avrei ringraziato i miei aggressori per avermi risparmiato di assistere a una simile vergogna”.
    Anche io ho scritto una recensione che, come te, non sapevo se scriverla o meno.
    Povero Pasolini, non se lo meritava

  2. Vedi, Pocosgnich, dopo la tua premessa, avresti veramente fatto bene a non scrivere. Pasolini stesso diceva che occorreva evitare di scivere stroncature e pezzi negativi, e questo -ti spiego- solo perchè il ‘pezzo negativo’ non serve a niente, se non ad arrogarsi “…la responsabilità verso il pubblico pagante che merita di sapere, che ha il diritto di avere una guida” (tuo testo, non certo di Pasolini, che non si è mai considerato ‘guida’ di nessuno). Il pezzo negativo non rischia niente. O meglio, rischia solo di essere un brutto pezzo, che non serve a nessuno.
    Poi, mi piacerebbe entrare nel merito, e dirti che ‘rinunciare a un teatro di regia’ non significava rinunciare a una regia. Il ‘teatro di regia’ è un modo della restituzione scenica al quale io mi sono volutamente sottratto: ho voluto restituire ‘Pilade’ a partire dalla sua enorme forza testuale. Ho lavorato sulla ‘parola’, appunto, a partire dai presupposti di quel ‘teatro di parola’ che tu evochi -e, forse, senza neanche tanta cognizione di causa. Mi sono ‘dato’ al ‘Pilade’ pasoliniano dopo una vita dedicata allo studio della sua opera. E ho voluto ‘restituire’ l’opera come si fa con un ‘Trovatore’, con un ‘Orfeo e Euridice’, dove tutto è già dato, e la sola cosa che occorre fare è, appunto, restituire il testo -poi ci sono ‘spettatori’ che vanno a giudicare i cantanti, la regia, l’interpretazione del Maestro concertatore, dimenticando di entrare nel merito dell’opera -diversamente da quanto facevano Savinio, Barilli, e cioè, di entrare nel merito dell’opera, a prescindere dagli interpreti, che possono essere più o meno bravi, più o meno ‘centrati’. Discutendo sul valore -o meno- dell’opera. Non una sola parola nel tuo pezzo -ma quei tempi sono perduti per sempre. Fai il loggionista, senza sapere che i loggionisti, in quei tempi, facevano anche a botte per difendere o offendere una loro idea d’arte -restando comunque loggionisti, cioè quel pubblico popolare di al quale tu vuoi far da ‘guida’, lo stesso pubblico popolare al quale, invece, il nostro lavoro è molto piaciuto. Il nostro lavoro è anche piaciuto a Giuseppe Bertolucci,a Sandro Cappelletto, a Giuseppe Vacca…: ti dicono niente questi nomi? E Francesca Diodati: che ha scritto una recensione opposta alla tua (la torvi su http://www.whipart.it). Cosa resta da dire? Mi parli di ‘intenzioni’: io è più di vent’anni che faccio teatro, cioè, da quando tu eri piccolo. Sei rimasto tale: un giorno tu potrai dire di avermi almeno conosciuto -e con me Oreste Braghieri, Antonio Piovanelli…- ma io cosa potrò dire? Quando vorrai un pubblico confronto su Pasolini, o sullo spettacolo testè recensito- sono a tua disposizione.
    Bruno (e non Roberto) Venturi

  3. Caro Venturi,
    vedi non per affermare la mia posizione, ma se tu facessi un giretto un po’ più approfondito sul web troveresti altre recensioni che sicuramente non sono molto tenere col tuo spettacolo e se il mio parare da povero critico del web con sulle spalle solo università e centinaia di spettacoli visti non ti basta puoi anche andare sulla carta stampata e leggerti il corriere della sera (ecco il link: http://archiviostorico.corriere.it/2010/ottobre/17/Recitare_Pasolini_occhi_bendati_co_10_101017036.shtml), di sicuro Cordelli ne sa qualcosa più di me. E poi cercando ancora ce ne sono altre dello stesso tenore (teatro.org ad esempio: http://www.teatro.org/spettacoli/recensioni/pilade_17055), ma è giusto tu sia venuto a commentare qui, noi non abbiamo mai negato spazio a nessuno per aprire un dibattito.

    Per quello che dici riguardo al non dover scrivere una recensione negativa, bene se vuoi posso fare un giro di telefonate a tutti i colleghi e dir loro di non GIUDICARE più, di trasformare la critica in promozione, ma non penso siano i tempi giusti, anzi penso che il giudizio per quanto celato debba essere sempre presente e poi è la diretta e spontanea conseguenza di qualunque analisi.

    Poi non voglio rispondere ad affermazioni come “Mi parli di ‘intenzioni’: io è più di vent’anni che faccio teatro, cioè, da quando tu eri piccolo. Sei rimasto tale: un giorno tu potrai dire di avermi almeno conosciuto”… questa frase fa ridere veramente, non puoi pronunciarla, non senti la sua stonatura? Non avrei mai creduto di poter trovare una persona ancora capace, in epoca post-post moderna di affermazioni del genere.

    Riguardo al mio mancato approccio con il testo di Pasolini, bhè mi sembra di averlo spiegato: lo spettacolo mi impediva qualunque analisi della poesia di Pasolini.

    Perché vedi anche nel tuo commento mi sembri manchi un punto determinante: ovvero la coscienza del fatto che, anche con Pasolini, una cosa è il testo e un’altra è lo spettacolo, ovvero l’atto performativo che poggia sul testo, dunque l’affermazione ” ho voluto ‘restituire’ l’opera come si fa con un ‘Trovatore’, con un ‘Orfeo e Euridice’, dove tutto è già dato, e la sola cosa che occorre fare è, appunto, restituire il testo” non è pertinente in questo momento nel nostro teatro dove l’evento spettacolare è una stratificazione plurima di agenti artistici e codici sovrapposti. Anche perché altrimenti potremmo tutti rimanere rimanere a casa a leggerci Pasolini per conto nostro. E poi più banalmente la recitazione mi impediva proprio un corretto ascolto.

    Andrea Pocosgnich

    p.s. perdona l’errore sul nome… già corretto

  4. SIG. POCOSGNICH
    A ME PARE CHE LA VERA PARODIA SIA LA SUA RECENSIONE, DOVE L’UNICA
    COSA EVIDENTE E’ IL SUO RANCORE.
    FORSE DOVEVA CHIEDERSELO UNA VOLTA IN PIU’ SE SCRIVERE O
    NON SCRIVERE IL SUO ARTICOLO.

  5. Bhè qui il discorso rischia di slittare sul filosofico… non mi sento pronto per un’analisi lucida e ampia come la sua Antonello. E’ per caso di scuola strutturalista?

  6. Io il teatro lo faccio, appunto. E sono anch’io dell’avviso che a volte è meglio restare a casa e leggersi il testo -almeno lo avresti letto e avresti potuto capire l’operazione che noi abbiamo fatto sullo stesso. Ma manca questo semplice atto culturale, manca questa umiltà. Non siamo più negli anni in cui una borghesia oziosa e comunque non in grado di poter trovare i testi di partenza, andava a teatro per mantenersi agganciata alla cultura. Sono finite le scuse.
    L’articolo di Cordelli ovviamente l’ho letto. Mi sembra più ‘intelligente’ quello della Diodati -Cordelli non ti dà neppure la possibilità di replicargli, altrimenti l’avrei fatto, perchè l’ho trovato pretestuoso, come il tuo, o come quello di Manniti che credo poi sia stato ritirato perchè sommerso da una serie di proteste. Io continuerò a fare il mio lavoro -vivo in un’altra terra, e qui i teatri sono pieni di gente. Tu continua a fare il tuo, e sappi che ‘bhé’ non si scrive così: la critica dovrebbe essere un’opera che si aggiunge ad un’altra opera. Continua a fare il tuo, ma il web non giustifica il cattivo o mancato uso delle virgole. Prima impariamo a scrivere, poi discuteremo di codici e di struttura. Vale!
    Bruno Venturi

    • Ma perché tutto questo astio? Addirittura con la parte del professorino che guarda le virgole!
      No dai, è sempre più comica codesta singolar tenzone. Ma scusa Bruno nella “tua terra” ci sono i critici che azzardano qualche giudizio?

  7. Gentile Bruno Venturi,
    mi perdoni, non ci conosciamo e non ho avuto il piacere di condividere il suo spettacolo dalla platea. Tuttavia mi incuriosisce il suo approccio: Pasolini davvero voleva evitare stroncature? Per fortuna che quest’epoca accetta e benedice la contraddizione, altrimenti vorrei sapere cosa ne potrebbero pensare i vari Cassola, Berto e i tanti passati sotto il fulmine della sua penna, giustamente (Descrizione di descrizioni, postumo del 1979, ne è riprova assoluta), la penna di uno che ha stroncato – altrettanto giustamente – anche i “capelli lunghi”(da Scritti Corsari – 1975).

    Quanto al finale lo trovo agghiacciante per la mia generazione: quel romantico e carico di patetismo amarcord – del tipo eravamo io Ninetto e Pierpaolo a parlare di filosofia sui tavoli di una trattoria lungotevere – non è tanto lontano dall’odiato “si stava meglio quando si stava peggio” di tanta retorica di stampo fascista e fa riflettere molto. Quel suo “un giorno potra dire di avermi conosciuto” meriterebbe uno studio sociologico e lo sto facendo leggere a tutti quelli che incontro.

    Cordialmente
    Simone Nebbia

  8. Mi perdoni Venturi: dimenticavo di puntualizzare una cosa molto importante. Sono felice che il suo sia un guaio che ritengo individuale, non generazionale. Perchè c’è chi come lei se ne tiene alla larga per evitare di considerare l’eventualità di un fallimento, ma anche chi come Simone Carella – che lei credo ben conosca – è una spalla costante che rischia da solo e con noi al fianco ed è insostituibile alla nostra crescita culturale, umana, artistica. E Simone non s’è mai sognato di metterci le virgole.

  9. Caro Nebbia, in tutto ‘Descrizioni di descrizioni’ sono pochissime le ‘stroncature: contale. Quel libro è una fonte di bellissimi e brevi saggi che fanno venir voglia di leggere ancora, di andare avanti. La sua antipatia -che peraltro appare tale da subito- nei confronti degli autori sopracitati, era dettata da un antifascismo connaturato in Pasolini -lo stesso motivo per cui non si dilungò mai troppo su Dino Campana -nonostante avesse donato una copia dei ‘Canti Orfici’ al fratello, prima di partire per quella lotta di resistenza che lo portò alla morte; lo stesso motivo per cui aveva tanta antipatia per D’Annunzio -pur essendogli tanto vicino nei suoi primi racconti… Ma è proprio in ‘Descrizioni…’ -e fin dal titolo stesso- che Pasolini parla di quanto poco serva una critica distruttiva -d’altra parte è così facile parlar male di Cassola… Discorso che andrebbe riconsiderato per Berto (sto leggendo ‘Guerra in camicia nera’ proprio in questi giorni), ma appunto la sua adesione al Fascismo, era aprioristicamente odiosa per Pier Paolo.
    Ma qui ci stiamo perdendo. E soprattutto stiamo paragonando una disamina negativa di P.con il pezzo di Pocos.
    Per quanto riguarda la ‘boutade’ sul fatto che un giorno lui potrà dirmi di avermi conosciuto (oltre ad essere una bellissima battuta di un assai noto genio del teatro italiano) mi riferivo al fatto che i miei più di vent’anni di teatro in Italia, la mia attività pedagogica, il Premio Scenario vinto, il mio gruppo ‘La nuova Complesso Camerata’ resisteranno a questi attacchi ‘sinistri’, di chi usando lo strumento ‘scrittura’ per lavoro, confonde ancora un ‘beh’ con un belato… Mi sono opposto alla ‘bruttezza’ del pezzo, alla sua faziosità (nel riconoscersi ‘guida’ al pubblico), nella mia vita artistica ho ricevuto anche stroncature, posso aver fatto anche lavori non proprio felici -non è il caso del nostro ‘Pilade’- ma sempre mi sono opposto all’ignoranza, alla bruttezza e alla supponenza. E con questa mia, esco dalla discussione che eventualmente potremo proseguire sul nostro sito (www.lanuovacomplessocamerata.org). Il ‘pezzo’ di cui sopra ha già avuto troppa importanza, per quanto mi riguarda. Sarà la vita che farà la differenza.
    Distinti saluti

  10. Caro Bruno, non arrabbiarti se ti chiamo per nome ormai ci si conosce e stima a vicenda, è davvero interessante parlare di “faziosità” per una recensione, ma siamo seri l’ho anche pubblicata al termine delle repliche.

    Poi scusa com’è la storia di te che te ne vai in giro a combattere la “bruttezza”, che fai passi le notti a leggerti le cose scritte dagli altri per vedere se hanno le virgole in ordine? Deve essere divertentissimo. Ti ricordi quando da piccoli si giocava a calcio e si discuteva nel campetto sotto casa? Ecco mi sembri quel bambino che tirava fuori e quando gli altri glielo facevano notare lui rispondeva “e allora… allora voi avete le scarpe slacciate!” ma che c’entra?

    Perché al tuo ennesimo commento nel quale cerchi di denigrare il mio lavoro, con lo stesso risultato che avrebbe un cavaliere andando in battaglia con la lancia di gomma, ancora non hai spiegato quello che io e i miei colleghi abbiamo visto: attori lasciati allo sbando, abbandonati a una recitazione d’altri tempi, putroppo senza la pulizia di quei tempi, o come hanno notato altri, “impacciati nei movimenti”. Questo forse dovresti spiegarlo a chi ha pagato il biglietto.

    Oppure hai ragione tu: io e gli altri critici non abbiamo capito lo spettacolo, i due ragazzi che quel giorno erano seduti dietro di me e ridevano ogni volta che Oreste e Pilade aprivano bocca (non li conoscevo) erano ubriachi e tu caro Bruno sei l’artista incompreso, vincerai ancora il Premio Scenario e il tuo Pilade verrà invitato nei più importanti festival (sempre tu abbia il tempo di lasciare un attimo i panni da supereroe con cui liberi il mondo dalle virgole sbagliate).

    Saluti

    Andrea Pocosgnich

  11. Avendo visto e recensito anch’io questo spettacolo (http://www.close-up.it/spip.php?article6233) vorrei difendere, nel mio piccolo, il lavoro di Pocosgnich. Nel mio articolo ho preferito spostare l’attenzione sull’eventuale inattualità del Teatro di Parola, ma le gravi carenze fatte notare da Andrea mi sembrano indiscutibili: non c’è in gioco solo la qualità, ma addirittura la perspicuità, le stampelle minime della teatralità. Su quale fosse l’intento di portare in scena una recitazione del genere, si potrebbe pure discutere: ma ritenere “intelligenti” solo le critiche favorevoli, e mendaci e malsane e tronfie tutte quelle, guarda caso, di senso contrario, non è certo il modo migliore che Venturi ha per difendere Pilade…

    Michele Ortore

  12. Caro Michele, ho fatto un commento molto simile anche io tempo fa e in un’altra occasione ma sempre riferito allo spettacolo di Venturi.
    Non è avendo letto tutti i libri di Pasolini e avendo visto tutti i film che si può dire di conoscerlo.
    Così come, già detto da Andrea, questo accanimento contro la nostra “ignoranza” perché siamo giovani e freschi di università mentre c’è chi fa teatro da vent’anni mi sembra davvero triste. Talmente triste che si commenta da sé.
    Ma in ogni caso, qui non si discute neanche se si conosce o meno Pasolini. Uno può anche non conoscere un autore e il suo pensiero filosofico ma riuscire a fare un bello spettacolo da un punto di vista scenico.
    Venturi, impari ad accettare le critiche, questo fa sia parte del mestiere (di regista/attore/autore) sia è parte di una buona maturità.

    p.s. Non mi sono ritirato; continuo a scrivere recensioni; quella l’ho cancellata di mia spontanea volontà solo perché, come ammesso e scusatomi in uno dei commenti, l’ho ritenuta eccessiva nel linguaggio ma nel contenuto sono ancora di quell’opinione.
    Comunque non si preoccupi. Non scriverò più una recensione su un suo spettacolo; è quasi impossibile che ne rivedrei uno.

  13. E pero’… su questo “è quasi impossibile che ne rivedrei uno” stendiamo un velo… (non è questione di virgole).

    • Giusto! Sono d’accordo con te Franco (bisogna vedere tutto, dallo stabile alla recita della scuola). Ma sai è stato un confronto bello acceso e di prigionieri ne sono stati fatti da entrambe le parti. Tu arrivi sul campo di battaglia deserto due mesi dopo, a fuochi spenti.

      andrea

  14. Cosa vedo! Un reduce!
    Noi turisti dell’orrore che ci aggiriamo tra le macerie dei campi di battaglia in cerca di femori ci saremmo avuto molto piacere a incontrarci due mesi fa!
    (Ah, il gioco! Viva la lieve ironia! Abbasso il peso dell’ironismo!)

  15. Naturalmente (se a qualcuno capita di ripassar da questo campo di battaglia) io mi riferivo all’improbabile coniugazione verbale (nel precedente post ne ho tentata una anch’io).
    Non penso affatto che si debba vedere tutto.

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