Il tango come linguaggio, il tango come veicolo per raccontare una storia, certo potrebbe funzionare. Una città come Napoli si farebbe facilmente raccontare e freneticamente attraversare dall’onda della danza argentina e allora la storia di una famiglia allargata che vive per questo ballo diventerebbe metafora vivificatrice di un popolo dolente, riscossa danzante di tutti i popoli del sud del mondo. Ma se il tango rimanesse invece un linguaggio vuoto, un contenitore privo di un’idea, allora l’operazione rischierebbe di deviare bruscamente verso un più commerciale auspicio.
Eppure gli intenti di questo Napoletango in scena al Teatro Eliseo di Roma fino al 14 novembre erano altri, o almeno così cerca di convincerci Giancarlo Sepe nelle sue note di regia. E anche l’incipit sembra promettente, con lo show che comincia mentre alcuni spettatori devono ancora fare il biglietto, sulla scalinata che cala su via Nazionale un gran trambusto cattura l’attenzione del pubblico. Eccoli lì, i numerosi performer arrivano in fretta e furia con valige, materassi, parrucche e stracci. La famiglia sta per fare l’ingresso nel posto che ha sempre sognato: il teatro.
La scommessa di Sepe, che teatralmente può anche essere interessante, ovvero raccontare il tango senza il tango, risulta dopo pochi minuti persa senza appello. Perché se é legittimo costruire un linguaggio che sia più vicino al teatro-danza (giusta l’intuizione de El Paìs che ci ritrova sprazzi di Pina Bausch) o alla ripetitività del gesto sincopato proprio di artisti come Kantor, che al ballo di coppia tanto di moda in questo momento; è invece deludente il contenuto di tutto ciò, in quanto vicino allo zero. Perdonatemi se non utilizzo sofisticati giri di parole per dirvi semplicemente che lo spettacolo di Sepe è furbo e traditore. Traditore delle aspettative non tanto perché i veri momenti di tango si riducono a un paio, ma perché l’annullamento del contenuto, conseguenza di un reiterato privilegio della forma (indubbiamente attraenti le ultime scene tra specchi vestiti eleganti e musiche suadenti), cancella anche i propositi di racconto e l’epopea familiare si annulla in un gioco di corpi esposti e denudati (come d’altronde il migliore spettacolo televisivo ci impone) al vorticoso ritmo di un’eterogenea e colorata musicalità che va dalla canzone napoletana a Richard Galliano, passando per Luis Balacov, fino alle milonghe elettroniche dei Gotan Project.
Parte del pubblico applaude, ma un’altra gran parte rimane interdetta, e forse come me si interroga sull’utilità di questo spettacolo, del dispendio di tutte queste energie produttive e fisiche (i diciannove attori non si risparmiano) e mi torna in mente una delle frasi del regista nelle note di presentazione: “Lo spettacolo è un inno alla vita senza i freni della cultura borghese e senza la ricerca affannosa della bellezza, oggi la vera discriminante tra ciò che conta e ciò che va buttato via”. E forse è proprio qui il vicolo cieco. Nella società dei consumi “l’inno alla vita senza freni” non è più un concetto rivoluzionario, non lo è più dagli anni ’80, anzi oramai è una way of life obbligatoria. Vivere lo sballo senza pensieri, l’intrattenimento puro come stile di vita è sempre di più una prerogativa trasversale, anche per quella classe borghese, categoria tra l’altro ormai desueta, di cui parla Sepe. Ecco allora che se anche quell’unico appiglio critico che l’idea registica poteva vantare non funziona, cosa rimane? A me personalmente di Napoletango all’Eliseo rimane un’immagine: la compagnia che scende tra il pubblico per ballare con gli spettatori, ma per la maggior parte le coppie che si formano sono quelle composte proprio da vecchi borghesi in giacca e cravatta che non si lasciano sfuggire le giovani e attraenti attrici di turno. Insomma proprio quell’inno alla vita di cui sentivamo il bisogno.
Andrea Pocosgnich
in scena fino al 14 novembre 2010
Teatro Eliseo – vai al programma del Teatro Eliseo
Roma
NAPOLETANGO
Musical Latino-Napoletano
ideato e diretto da Giancarlo Sepe
con (in ordine alfabetico)
Stefano Capitani, Susy Del Giudice, Sergio Di Paola, Cristina Donadio, Barbara Folchitto, Antonio Gargiulo, Elena Gigliotti, Cristina Messere, Francesco Moraca,
Pablo Moyano, Raffaele Musella, Matteo Nicoletta, David Paryla, Giorgio Pinto, Caterina Pontrandolfo, Dora Romano, Marcela Szurkalo, Nella Tirante, Luca Trezza
scene e costumi Carlo De Marino
luci Umile Vainieri
con un tema originale di Luis Bacalov
colonna sonora Harmonia Team
con la collaborazione di Davide Mastrogiovanni
aiuto regia Domenico De Santi
Teatro Eliseo / Napoli Teatro Festival Italia
Sono d’accordo. Uno spettacolo oscenamente vicino al nulla.
Idem al Carignano di Torino. Mai visto uno spettacolo così pieno di stratagemmi, tanti sederi al vento, seni abbondanti, nudi integrali senza senso, attori che ballano con il pubblico, una trama debolissima. Quello che mi ricorderò di questo spettacolo sono sederi, seni, caos, urla e un’estate al mare….
Allegro, spiritoso,paradossalmente vicino a molte milonghe, dove ognuno è se stesso, si esprime per quello che è, perchè necessariamente bello?… l’importante è esprimersi con creatività con la musica del tango che tanti spunti offre. Senza trama non è un peccato,è un momento di “disimpegno”…anche solo per vedere loro che sicuramente si divertono,ma anche noi!!