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L’ultimo nastro di Krapp: Wilson sulle orme di Beckett

E’ forse l’unico modo possibile per dare vita scenica al testo di Beckett. C’è questa affermazione che mi si arrampica in testa da quando sono uscito dalla platea del Teatro Valle, è questo il primo sentimento che mi si muove dentro dopo gli scroscianti applausi del pubblico sulla figura giocosa e divertita di uno degli artisti più importanti al mondo. Bob Wilson che si prendeva gli applausi con in faccia il sorriso di un clown birichino, il viso coperto di cerone, la corporatura resa goffa, un gilet dai cangianti cromatismi su dei pantaloni grigi e poi improvvisamente rossi calzini a catturare lo sguardo dello spettatore.

Lo sguardo appunto, complice, stordito e calamitato, lo sguardo che non riesce a distogliersi dai movimenti, dal loro perpetuo ripetersi in una lentezza siderale, nel loro congelamento costruito grazie a una pulizia formale inappuntabile. Spettacolo di un uomo che aspetta la propria fine nel suo ufficio mentre la pioggia ne illumina le finestre, mentre i tuoni puntellano la partitura dei suoi movimenti. Spettacolo di un artista che diventa clown per raccontare una solitudine senza tempo. Il Krapp di Wilson, capace di catturare proprio quello sguardo per un tempo interminabile prima di iniziare a parlare, forse poco meno di mezz’ora senza l’uso di una parola, ma solo con la sua presenza scenica e la compiutezza estetica di un linguaggio visivo che invade il buio spazio in modo ossessivo. Si rimarrebbe ore a guardare il palco allestito da Wilson, installazione artistica già di per sé. Dopo poco tempo infatti mi trovo a scrutare la fulgente bellezza del disegno luci, sempre ideato del maestro americano e realizzato da A. J. Weissbard, espressivi raggi di luce bianca o azzurrina piovono sul palco a creare una trama di ombre inquiete. In questo spazio siderale chiuso la scrivania di Krapp è di fronte a un grande scaffale, a sinistra e a destra due tavoli paralleli ospitano pile di documenti raccontando di una simmetria propria di questo spazio mentale. Le finestre in alto si illuminano secondo improvvisi cicli solari, il tempo è uguale a sé stesso ormai da decine di anni.

Il testo di Beckett è frammentato e reiterato, blocchi del lungo flusso di coscienza sono recitati dal vivo con maestria da Bob Wilson, capace di una fantasia ritmica e tonale impressionante, altri vengono riascoltati dal protagonista grazie all’uso di un vecchio registratore a bobine. Wilson sembra insomma aver scelto di affidare tutto alla propria interpretazione attoriale e alla scena con suoi effetti audio-video nel rispetto dell’opera del drammaturgo Irlandese.

L’ascoltarsi e il registrarsi è per Krapp un modo per sentirsi vivo, per esistere. Tornare per un attimo a un amore sfiorato, a un ambizione artistica dissolta (“Diciasset­te copie vendute, di cui undici con lo sconto specia­le a biblioteche circolanti nei tenitori oltremare. Mi sto facendo conoscere”). Ma è una pratica ormai logorata da anni di registrazioni e in un’attesa infinita, che nell’interpretazione di Wilson non sembra lasciare spazio all’arrivo della morte, ma diventa perenne limbo di un ghiacciato e polveroso purgatorio, Krapp non ha mai altro da raccontare o registrare, non c’è nulla di nuovo, rimane solo un vecchio uomo che si stringe ai propri ricordi e rimpianti.

Andrea Pocosgnich

Visto il 10 ottobre 2010
Teatro Valle (vai alla presentazione della stagione 2010/2011 con il link al programma)
Roma

L’ULTIMO NASTRO DI KRAPP
di Samuel Beckett
regia, scena e ideazione luci Robert Wilson
costumi e collaborazione alla scenografia Yashi Tabassomi
disegno luci A. J. Weissbard
suono Peter Cerone e Jesse Ash
assistente alla regia e stage manager Sue Jane Stoker
aiuto regia Charles Chemin
assistente alle luci Xavier Baron
direttore di scena Reinhard Bichsel
supervisione luci Aliberto Sagretti
capo macchinista Antonio Verde
truccatrice Mariarita Parisi
fotografo Lesley Leslie-Spinks
assistente personale di Robert Wilson Aram Haus
direttore di produzione Kristine Grazioli

un progetto di Change Performing Arts
commissionato da Spoleto52 Festival dei 2 Mondie Grand Théâtre de Luxembourg
prodotto da CRT Artificio, Milano

spettacolo in inglese con sottotitoli in italiano

durata 1h 10′ senza intervallo

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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