Ospitato, nei suoi primi due studi (Primo frammento di un quotidiano disfatto e incontroluce), dall’edizione 2010 del festival Es.Terni, C R E P A, nuovo progetto del gruppo Korekanè, indaga possibili vie di fuga dalla quotidianità e dalla monotonia della vita contemporanea.
Su una scena spoglia, le performer Chiara Cicognani ed Elisabetta Gambi camminano seguendo le linee di una spirale bianca disegnata per terra. Reiterato, asettico e veloce, il loro movimento costruisce un meccanismo claustrofobico e disegna un percorso senza principio e senza fine, metafora dell’insensatezza delle abitudini quotidiane. «Il percorso è sempre quello, si ripete ogni giorno qualsiasi vita viviamo, qualsiasi lavoro facciamo, qualsiasi paese abitiamo. Ripetiamo azioni a prescindere dalle nostre cronologie e biografie. Camminiamo su e giù per quella spirale all’infinito», scrivono le due artiste nella presentazione del loro lavoro. Primo frammento di un quotidiano disfatto appare, dunque, come la traslazione scenica di queste stesse parole. Una passerella continuamente identica a se stessa – che richiama, certe sfilate del genio della moda e artista visivo Hussein Chalayan (Inertia, S/S 2009) -, costringe il movimento delle performer e determina le dinamiche del loro rapporto. Su questa spirale, scopi e mete sono definitivamente cancellati, parole scritte col gesso bianco emergono sfumate e imperscrutabili, come segno di un passaggio, di una conquista, di un arrivo immediatamente cancellato dal tempo. Le due performer si sfiorano, confondono il loro essere, annullano l’una il pensiero dell’altra fino a divenire esse stesse nulla. Nel rimbombare continuo di tacchi, che scandisce il tempo come orologio o ritmo dell’esistenza, lo schema lentamente si incrina. Impeccabili automi Cicogna e Gambi, rifiutano improvvisamente e involontariamente il loro ruolo, la loro quotidianità; mentre le luci si spengono, abbandonano definitivamente il loro percorso.
È da qui che prende avvio incontroluce, secondo studio del progetto. Nel buio, le performer trascinano un enorme baule al centro della scena, quindi, trovano in esso rifugio. Crepa nella vita quotidiana, inter-mondo in cui rielaborare la propria esistenza (come la stanza dell’Uomo Pecora in Dance Dance Dance di Murakami) l’interno del baule diviene, utilizzando ancora una volta le parole delle artiste, «un luogo in cui sottrarsi dall’ossessione del quotidiano e da un mondo che continua a girare, in cui sciogliere i ghiacci dell’indifferenza e dove ci si possa trovare faccia a faccia con la paura». Lasciato dinanzi alla scena spoglia e buia, il pubblico assiste al lampeggiare di luci lontane, ascolta le voci delle due attrici, il rumore del loro incessante scavare dalla superficie fino alle profondità più remote della terra, fin quando qualcosa non rovescia nuovamente la scena. Improvvisamente macerie e pietre cadono dall’alto, come frammenti di tempo; uscite dal loro rifugio, tornate alla vita, le due performer non potranno far altro che ricostruire, con queste pietre, la loro spirale.
Così Korekanè getta i semi di un progetto, in bilico tra la danza e il teatro, che ha l’interessante ambizione di analizzare il tempo portando in scena la sua crudele banalità, s-velando ciò che di invisibile è custodito nella vita e nelle sue geometriche dinamiche. Eppure, la scena di Primo frammento di un quotidiano disfatto e di incontroluce appare come una metafora estremamente letteraria, immagine che vela l’intento e s-vela meccanicamente ogni elemento significante esposto in scena. Le immagini, che compongono una scrittura scenica giocata tutta su un crescendo di effetti, appaiono ancora come estremamente derivative richiamando prima l’estetica degli spettacoli di Rem&Cap, poi quella (ancor più abusata) della Socìetas Raffaello Sanzio. Così, per fuggire la quotidianità, Korekanè cade nella trappola di una spirale nella quale si ripetono, oramai meccaniche e asettiche, certe “abitudini” della sperimentazione teatrale contemporanea.
Matteo Antonaci
Visto a Es.Terni 2010