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Senza parole – Teatri di vita per Short (hot) Theatre

Sei materassi gonfiabili neri in sei quadrati di luce, pile di piatti di porcellana bianca e corpi maschili, nudi, che riempiono la scena prima che sia invasa dal buio. Fine. Il pubblico si divide. Alcuni applaudono, alcuni fischiano Senzaparole, spettacolo della compagnia Teatri di Vita – quarto episodio di un progetto su Samuel Beckett dal titolo Non io nei giorni felici – ospitato dall’edizione 2010 del festival Short Theatre (4 settembre). Un festival che improvvisamente diventa bollente, hot, volendo utilizzare parole più affini ai temi trattati dallo spettacolo di Andrea Adriatico e alla presenza di un’icona italiana della pornografia omosessuale: Carlo Masi (divenuto celebre grazie alla casa di produzione statunitense COLT Studio e primo attore porno gay in Italia ad aver avuto un riconoscimento da parte della stampa nazionale). Sesso vischioso, morboso; esposizione corporea, sottomissione, potere e libertà. Dopo aver messo in scena le opere Giorni Felici, Non io e Dondolo, Teatri di Vita conclude il proprio percorso di ricerca sul drammaturgo irlandese rileggendo Atti senza parole. Nell’opera di Beckett, su una landa desolata, un personaggio dall’identità ignota viene controllato dal suono di un fischietto che manipola i suoi movimenti. Una caraffa d’acqua attira l’individuo che cercherà in tutti i modi di raggiungerla per soddisfare i propri desideri. Non riuscendoci, sfinito, l’uomo si accascerà a terra proprio a pochi passi dall’oggetto del desiderio che oramai non vorrà più prendere.
Senzaparole di Teatri di Vita si apre su una landa nera improvvisamente illuminata da sei quadrati di luce, rigorose figure geometriche disegnate perfettamente per terra. L’accendersi e lo spegnersi di questi quadrati scompone lo spazio in piccole caselle e detta il ritmo dello spettacolo come in un montaggio industriale di micro-sequenze sempre uguali a se stesse. Marco Matarazzo, languido manipolatore, stringe tra le mani il suo fischietto e controlla il corpo culturista di Carlo Masi. Il pornoattore è illuminato in frammenti di movimento (cade, si alza, fa un passo in avanti), ripetuti continuamente in tutti i quadrati e accompagnati dall’alternarsi di sette differenti tracce sonore (dai Subsonica a Vivaldi, dai Mùm a John Lennon and The Plastic Ono Band) che di volta in volta restituiscono al corpo dell’attore una differente carica erotica. In ogni cella di luce, pile di piatti di porcellana bianca raccontano di un ambiente intimo e allo stesso tempo paurosamente asettico, come un set cinematografico o fotografico in cui i corpi degli amanti si inseguono. Matarazzo diviene la caraffa d’acqua dell‘opera di Beckett, Masi corpo vuoto e desiderante. Ogni fischio è un richiamo d’attenzione e una fuga, ogni piatto custodisce frammenti di desiderio, liquidi sessuali, perversioni, voglie erotiche sublimate in scambi di sguardi, di carezze fugaci, di perversi ammiccamenti e puntuali insoddisfazioni. Masi cerca l’itinerario giusto per raggiungere l’oggetto che provoca la sua attenzione, corpo che si denuda, che si spoglia e poi fugge, fino a costringere il pornoattore a uscire dalla propria casella, a sconvolgere la partita in corso su questa maniacale scacchiera. Quindi a mostrarsi totalmente nudo, sfinito e colto oscenamente in un’inespressiva dolcezza, privo di qualsiasi desiderio nei confronti della sua “caraffa d’acqua“.
Mentre materassi gonfiabili neri appaiono in ogni quadrato di luce, come in piccole stanze, ogni fischio di Matarazzo diverrà inutile. Denudato, steso di volta in volta su un letto diverso, l’attore cambierà continuamente fischietto finché non sarà consapevole della propria impotenza. Allora, al sovrapporsi delle musiche, corpi maschili, atomi di carne, riempiranno lentamente i letti di ogni quadrato per poi scomparire nel buio.
Adriatico costruisce uno spettacolo ossessivo e cervellotico che ha il sapore dell’ultimo Pasolini più che di Beckett. Nell’impianto narrativo il morboso desiderio sessuale imprigiona i corpi e li svuota restituendoli come pure carcasse di carne. “Sono passati 40 anni dal bed-in quando John Lennon e Yoko Ono dal letto della loro camera d’albergo lanciarono l’amore come idea di pace per il mondo. 40 anni dopo, ma forse anche da molto tempo prima, l’universo delle relazioni ha trasformato la camera da letto in un ring che non sa di pace” scrive il regista sul foglio di sala. Perché la scena di Senzaparole è un campo di battaglia, metafora di un’attuale, falsa e ingenua libertà sessuale che tramuta il rapporto amoroso in una lotta, il sesso in una caccia, e il corpo in un oggetto mediatico continuamente sovraesposto. La presenza maschile e ambigua di Matarazzo (che sostituisce l’attrice Rossella Dassu dando nuovi valori interpretativi allo spettacolo), congiunta alla figura/significante di Carlo Masi, sposta il piano di lettura in un orizzonte prettamente queer. Ogni movimento, ogni scivolare di corpo lascia emergere la poesia di una libertà richiusa tra saune, battuage e discoteche, racconta una continua caccia all’amore, ad un irraggiungibile istante di dolcezza; racconta di una solitudine permeata da metafore oscene, di un corpo omosessuale, palestrato, sensuale ed erotico, virilità per eccesso tramutata in oggetto del desiderio dall’industria del sesso.
Infine, riacquisendo valore universale, Senzaparole diviene il racconto di una società pervasa dalla pornografia, nelle parole di Adriatico “naturale affaccio del desiderio”.
Uno spettacolo lento, ostico, “presuntuoso” e perversamente poetico.

Matteo Antonaci

visto il 4 settembre 2010
Teatro india
Short Theatre – vai all’articolo di presentazione della rassegna

Senzaparole
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con Carlo Masi, Marco Matarazzo e Monica Nicoli
produzione Teatri di Vita
della serie Non io nei giorni felici
aiuto regia Daniela Cotti
scene Andrea Cinelli
fotografia Raffaella Cavalieri
tecnica Alberto Irrera
produzione esecutiva Saverio Peschechera

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