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Pinter’s Anatomy: Ricci/Forte e lo smascheramento dello spettatore

Immagina te stesso costretto a stare in piedi stretto in fila con altre persone che non conosci, allontanato dai tuoi amici, divorato da emozioni, scavato per mezz’ora da occhi tristi, amichevoli, amorevoli, violenti, patetici; immagina di non poter scappare perché prima o poi dovrai fare i conti con quello che ti gira intorno, non potrai sederti per questo ti faranno lasciare borse e accessori fuori dal luogo dove l’emozione si consuma; l’emozione… Quanta ne hai da dare? Quanta ne nascondi dietro maschere e vezzi intellettuali? Quanto sei disposto a rimanere aggrappato a quegli occhi?

Questo potresti domandarti quando frastornato uscirai da la Pelanda al Macro Testaccio dove fino a sabato 11 Ricci e Forte, animando uno degli spazi artistici di Short Theatre 2010, portano in scena il loro Pinter’s Anatomy. Lo spunto arrivato nel 2009 dal Css di Udine per ricordare il premio nobel britannico a un anno dalla scomparsa, si trasforma nelle mani dei due artisti in una materia pulsante, contemporanea, magmatica, da condensare – ecco l’idea interessante – in una performance di 35 minuti che diventi precipitato iperrealista, conato postmoderno di quel mood pinteriano da cui sono partiti.

Il lavoro è sullo spettatore, sin da quando un paio di sgherri in maschera sadomaso (a ripensarci una delle trovate meno convincenti; perché i volti coperti in quel modo? ) spingono il pubblico all’interno dello spazio artistico e lo mescolano, creano la solitudine, rompono le coppie e dividono gli amici, ognuno deve vivere quegli attimi da solo, gli occhi degli attori unica salvezza, in origine lo spettacolo era stato pensato per tre spettatori, con il pubblico insomma in svantaggio rispetto ai performer, ma ormai gli appassionati del duo romano sono troppi per una scelta del genere. Spazio ristretto, con due aperture, in quella di sinistra un corpo nudo, come all’obitorio, sopra la sua bocca un microfono, nello spazio interno di destra un albero di natale, ambigui personaggi in maschera da Gatto Silvetro e Titti lo addobbano con cartellini sui quali gli spettatori scrivono i propri nomi e date di nascita, sono le etichette che si legano ai piedi dei morti; l’oggetto simbolo per eccellenza del natale secolarizzato e consumista diventa l’albero dei morti; una luce verde invade i due misteriosi spazi nascosti e traccia una linea di confine con l’ambiente della performance e del pubblico dove il bianco neon ospedalizza l’interno. Questa netta divisione di atmosfere rimarrà statica per tutta la performance. Non hanno necessità di creare atmosfere estetizzanti tramite luci e macchine del fumo Ricci e Forte, la costruzione delle emozioni, perché di questo si tratta, passa attraverso un utilizzo sapiente dei corpi, delle voci (amplificate e non), delle musiche, ma lo spazio visivo non subisce mutazioni. Che gli occhi vedano, che lo spettatore non si nasconda al buio, che faccia i conti con quello che ha davanti, che trattenga il pianto, che rimanga immobile, che non abbia neanche la possibilità di urlare con un liberatorio applauso. Perché in definitiva l’anatomia è anche sul pubblico.

E’ questo il linguaggio dei due artisti, criticabile, eccessivo, nel rishio di troppo glamour, di troppo ricci/forte, ma inappuntabile nella sua prassi rigorosa, bulimico, violento di corpi sottomessi (schiaffi e calci veri sotto gli occhi dello spettatore), di performer che non si risparmiano, che tirano fuori la voce con l’affanno in gola triturando la propria memoria, lasciando cadere nel suo pozzo affetti, prime volte (rigorosamente raccontate nella versione “etero” e “omo”), ricordi, insofferenze, come nel miglior Pinter dove le relazioni, anche quelle esplicitate nelle scene più allegre, rimangono ammantate da un’impalpabile aura nera. Ecco, l’anatomia di Ricci e Forte ci priva del resto e porta a galla quell’aura nera. Ma non è solo intimità, lo sguardo alla società dei consumi forse qui è più duro rispetto a Macadamia, l’albero dei morti d’altronde non dà scampo, così come l’evocazione della tragica fine del povero Cucchi, con le parole “tossico” e “frocio” che rimbalzano da una bocca all’altra, ma tutto passa, tutto viene dimenticato ed è come morire con un sottofondo musicale pop mentre da soli ci infiliamo in un sacco nero con i nostri bei cartellini a piedi.

Andrea Pocosgnich

visto l’8 settembre 2010

La Pelanda
SPAZIO1 – TEATRO/PERFORMANCE
ShortTheatre 2010

Leggi il diario di Short Theatre

Ricci/Forte
PINTER’S ANATOMY
con Marco Angelilli, Pierre Lucat, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, Anna Terio
Stylist Simone Valsecchi
regia Stefano Ricci
benvenuti produzione
in collaborazione con css udine

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2 COMMENTS

  1. Cari Ricci/Forte,
    continuate a vivisezionarmi e farmi a pezzi.
    Pur avendo messo il mio cartellino al piede, mi avete però ridato ossigeno.
    Conto i giorni per potervi rivedere all’India.

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