L’effetto di uno straniamento ci coglie d’improvviso quando, durante una vita, cerchiamo di comprendere e definire il suo e nostro rapporto con la morte. Una naturalezza mai così fluida per i nostri pensieri derivati. Ogni tentativo sembra incongruo, sembra non essere adeguato alla densità dell’obiettivo, così allora una apparente leggerezza emerge come la via più puntuale, efficace a una simile esperienza. Così non altro che due clown sembrano la scelta migliore per questa nuova ultimissima versione de L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello, testo di riferimento del teatro lungo un secolo, che ha visto la prova dei suoi più grandi attori, come oggi per Sandro Lombardi, che cura anche la drammaturgia, e Roberto Latini, che ne è attore e regista.
Le luci si spengono pian piano, in attesa di qualcosa, di qualcuno, pian piano scende la musica sulla gabbia inquisitoria: scende la morte a giudizio dell’accidiosa e indolente vita; sembra voler dire quanto si viva senza coscienza di questo evento, di cui sentiamo la prepotenza quando ormai è tardi per saperlo, con saggezza, accettare. Due clown: Lombardi in guanti bianchi e scarpe nere, Latini in guanti rossi e scarpe blu: magnifico l’uno, satireggiante l’altro. Due modi di percepire l’esistenza in calando verso la sua esclusiva, individuale e mai collettiva conclusione. Un dialogo serratissimo sotto una gabbia di ferro, in cui si può entrare e uscire soltanto fisicamente, ma la metafora li fa restare dentro: questo dialogo pare possa esistere soltanto qui, dietro quelle sbarre si dice la verità, dietro la costruzione-costrizione che inganna i due punti del segmento vitale; in questa scelta la poetica di Latini si imperla alle sbarre con il cadere ambientale, elegantissimo della musica, curata dal prezioso Gianluca Misiti, che dischiude la percezione e insieme – per metafora – un poco la gabbia in cui è costretta la stessa esistenza.
Quella leggerezza inesplicabile ha il maggiore rilievo di essere figlia di una inquietudine profonda: la satira clownesca è intensamente felliniana, Latini sceglie una recitazione sopra le righe, istrionica, in falsetto, ma tiene una cupezza a fondamento che non lascia mai cadere il sospiro, a mezz’aria sospeso; riesce dunque Latini nel difficile compito del rispetto senza imitazione, il classico senza il classicheggiante, l’essenza che esclude il formalismo. Negli elementi poi il senso dell’inesorabile, come il tic tac della pendola che sovrasta il loro dialogo, nella sottrazione smaniosa delle certezze vitali, articolata per reiterazione di piccole insistenti frasette campionate, in questo inesorabile sentiero c’è la loro sottile comunanza di una morte annunciata, il sottile segreto sempre svelato che fa un uomo, a cospetto della fine, uguale a qualsiasi altro. Ma tutto non avrebbe modo, come detto, senza la dimensione onirica: tra le nebbie sa ridere il clown, unico a tenere assieme inizio e fine, perché continuamente sperimenta il ricordo e l’amnesia, nel trascorrere della vita, il senso del paradosso, continuo e pure finale dell’inarginata morte.
Simone Nebbia
Estate al Bargello 2010
Cortile del Museo Nazionale del Bargello
Firenze
Compagnia Sandro Lombardi
L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA
di Luigi Pirandello
con Sandro Lombardi e Roberto Latini
adattamento e drammaturgia Sandro Lombardi
costumi Marion D’Amburgo
luci Gianni Pollini
musiche originali Gianluca Misiti
realizzazione scena Luca Baldini
spazio scenico e regia Roberto Latini