Homeno home pagePer un teatro post-beuysiano. Ragionamenti intorno a Dies Irae. 2° parte

Per un teatro post-beuysiano. Ragionamenti intorno a Dies Irae. 2° parte

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Inizio. Dies Irae_5 episodi intorno alla fine della specie, penultimo spettacolo del gruppo Teatro Sotterraneo, è una piantagione e allo stesso tempo un’opera sulla morte, sulla fine ultima delle cose. Perché, come ci insegnano i poeti e le grandi civiltà del passato, le cose e gli uomini sono destinati a perire. La problematica o l’immaginario della fine del mondo tocca e ha toccato tutti gli uomini in tutte le generazioni. Da quella fine del pianeta Terra preannunciata nell’anno Mille fino alle catastrofi naturali che, come sostiene qualcuno, sconquasseranno la terra con effetti speciali iper-fantascientifici nel vicino 2012. La morte è pop. Ed è anche prodotto dell’uomo stesso: la terra perisce a causa delle nostre macchine, i ghiacciai si sciolgono per causa nostra e le civiltà mutano e cambiano nel tempo per rimediare ai danni da esse stesse provocati. Questo, come già raccontato da Simone Nebbia nella recensione dello spettacolo qui pubblicata, è lo sfondo di Dies Irae. Su questo sfondo Teatro Sotterraneo costruisce 5 episodi, 5 frammenti drammaturgici che concorrono alla formulazione di uno spettacolo che appare come un telefilm diviso in puntate, una scrittura scenica seriale il cui intuito narrativo va via via disciogliendosi per arrivare ad una sorta di sparizione finale. Eppure si ha l’impressione che la sparizione, la fine tematizzata dallo spettacolo, non sia soltanto quella del genere umano, piuttosto quella di certe pratiche artistiche ed estetiche – in parte sfruttate all’interno della pièce stessa- che giungono moribonde al loro termine. Teatro Sotterraneo chiama in causa il suo pubblico esattamente con le stesse modalità utilizzate nei precedenti spettacoli Post-it e La cosa 1, eppure questo interpellare diventa in Dies Irae una sorta di provocazione, potremmo dire, il primo passo per mettere in moto dei meccanismi di pensiero capaci di inglobare lo spettatore nell’opera stessa. Perché, come si diceva, Dies Irae è una piantagione.

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