I sei danzatori-attori che compongono il collettivo Progetto Brockenhaus provengono dal mondo della danza, del teatro e del circo. Queste tre dimensioni sono presenti all’interno dell’opera prima Non facciamone una tragedia, ospitata all’interno del festival Teatri di Vetro 4.
La scena spoglia, se non per i toni di rosso di due tende che oscillano sullo sfondo, è una sala da ballo dimenticata e abbandonata a se stessa insieme ad oggetti ormai inutili, sedie bucate, legno marcio. In questo spazio si muovono personaggi anacronistici, figurine piene di polvere, frammenti di colore proiettati da uno sguardo nostalgico, ironico e grottesco, permeato da una soffice e dolce sensazione di morte. Uomini e donne dai bizzarri costumi parlano in francese, rievocano immagini di un passato irrecuperabile, frammenti della grandiosità dell’industria dello spettacolo, stralci di sogni, personaggi circensi bagnati dal costante rumore della pioggia che cade imperterrita come a voler cancellare i colori del passato.
Non facciamone una tragedia è uno spettacolo enigmatico, ironico e commovente che Progetto Brockenhaus costruisce con la semplicità del gioco. La scena teatrale è uno spazio nel quale emergono figure innocenti, figlie di un’immaginazione fervida, di un lavoro personalissimo sui colori e sulle immagini: quadri nebbiosi e mai significanti sospesi nel limbo di una drammaturgia che vive di leggerezza e di suggestioni, come un piccolo segreto impossibile da rivelare. I performer Elisa Canessa, Elisabbetta di Terlizzi, Piera Gianotti, Federico Dimitri, Francesco Manenti ed Emanuel Rosenberg costruiscono la propria partitura fisica attingendo direttamente dalla storia del teatro-danza e dalle coreografie di Pina Bausch (evocata soprattutto nei movimenti di coppia) ma anche dall’immaginario e dai movimenti circensi la cui magia e il cui mistero divengono tessuto dello spettacolo stesso.
Proprio questi elementi sono qualità di uno spettacolo semplice e senza pretese, un’opera prima, che, anche quando derivativa, si caratterizza per la propria freschezza e per lo sguardo assolutamente personale e poetico con il quale tutto viene rielaborato.
Matteo Antonaci
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