Una delle tante favole di Esopo narra di uno scorpione e di una rana che, per attraversare un fiume, decidono di collaborare e di mettere da parte i loro istinti, pur di assicurarsi la vita. Eppure, salito sulle spalle della rana, lo scorpione non può che pungerla, affermando in tal modo la sua natura. Rana e scorpione sono, per il gruppo Codice Ivan, le due facce di una stessa medaglia. La loro unione rappresenta la labilità tra i confini che separano la vittoria dalla sconfitta, il bene dal male, la realtà dall’immaginazione, dall’arte, dal teatro.
Lo spettacolo Pink me & the roses vuole farsi portavoce di tali dicotomie incarnate nei meccanismi della rappresentazione teatrale e dunque distruggibili, almeno quanto basta per mostrare la vera natura del teatro stesso.
Passato sotto forma di studio nei più importanti festival italiani, da Drodesera a Short Theatre, Pink me & the roses, vincitore dell’ultima edizione del Premio Scenario, aveva diviso in maniera netta critica e pubblico italiano. Fischi e attacchi di ogni sorta sono piovuti sui componenti del gruppo Codice Ivan, facendo sì che la loro realtà, e la loro vittoria all’importante premio – tra polemiche, applausi e incoraggiamenti, tra chi sosteneva e sostiene in maniera sfrontata la giovane formazione e chi invece l’ha bocciata duramente – divenisse quanto di più discusso nell’ultimo anno nell‘ambito del nuovo teatro di ricerca italiano.
Lo spettacolo, ormai completato, viene replicato per la prima volta a Roma al Teatro Palladium, inserito nella rassegna dei gruppi del progetto Fies Factory One. Proprio questa replica appare come uno schiaffo in faccia ai mal pensanti, a chi non aveva creduto nelle capacità teatrali del gruppo, a chi aveva sostenuto, addirittura, la loro inutilità.
Certo, Pink me & the roses è un’opera prima e trascina con sé difetti e ingenuità, tanto più evidenti nel momento in cui il gruppo sembra ricalcare certe logiche della ricerca teatrale degli anni novanta e certe modalità creative vicine alle pratiche dell’arte contemporanea. Lo spettacolo, infatti, non incontrerà facilmente il gusto del grande pubblico e tantomeno quello di tutti coloro che credono che il teatro sia una prassi legata alla materia, all’emozione scenica e non ad una mera riflessione filosofica. In scena, i membri del gruppo ragionano sulla costruzione drammaturgica, sulla finzione della narrazione teatrale, avviando continuamente micro racconti e micro azioni, interrotti sempre attraverso la simulazione della morte improvvisa degli stessi performer.
Strizzando l’occhio alla pratica sessantottina dell’happening, Codice Ivan costruisce una drammaturgia nulla, inesistente, occupa il palcoscenico soltanto per affermare la propria esistenza, per esserci; distruggere il limite tra scena teatrale ed esterno della scena, tra personaggio ed attore, ma soprattutto tra arte/spettacolo e vita reale. Ogni dicotomia è unificata in un’unica presenza, metafora dell’unione mortifera tra la rana e lo scorpione nella suddetta favoletta di Esopo, ma anche esemplificazione della natura concettuale dello spettacolo stesso. Pink me & the roses è una pièce totalmente risolta, tanto nell’utilizzo degli oggetti scenici, quanto nella sua costruzione ritmica ma allo stesso tempo un’opera che tende a rinchiudere in se stessa la produzione di senso escludendo drasticamente (se non nel finale) la partecipazione dello spettatore nella sua costruzione. Codice Ivan, insomma, è vittima delle pratiche modaiole post-duchampiane: l’opera, come già detto, cresce attraverso un mero ragionamento filosofico, uno scarto intellettuale atto a costruire e a mantenere lo status di artisti immersi in circuiti totalmente autoreferenziali. Ribadendo l’impossibilità di unione tra segno scenico e significato, i performer provocano alienazione nel pubblico ed estremizzando (o ridicolizzando) le pratiche dell’happening, finiscono per chiedersi: “Si dice veramente qualcosa con questo spettacolo o è un’accozzaglia di tantissime cose che si vogliono dire ma alla fine non si riesce a trasmettere veramente qualcosa?”.
Qualunque sia la risposta, che piaccia o no, Codice Ivan dimostra di essere ben cosciente del proprio percorso artistico e si mostra come un gruppo da tenere assolutamente sott’occhio.
Matteo Antonaci
visto il 25 aprile 2010
al Teatro Palladium [val al programma 2009/2010 del Palladium]
Roma
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Prossime date:
26-27 maggio 2010
CRT (Salone) Milano