NON MI UCCISE LA MORTE
SERATA PER STEFANO CUCCHI
H 19 NON MI UCCISE LA MORTE. IL CASO CUCCHI – LA GRAPHIC NOVEL
(CASTELVECCHI EDITORE)
PRESENTAZIONE E DIBATTITO CON GLI AUTORI LUCA MORETTI E TONI BRUNO
CRISTIANO ARMATI (AUTORE DEL SAGGIO INTRODUTTIVO) E ALTRI OSPITI
ESPOSIZIONE DELLE TAVOLE ORIGINALI
Il caso: La notte del 15 ottobre il giovane geometra Stefano Cucchi viene trovato in possesso di una piccola quantità di hashish presso il Parco degli acquedotti a Roma. I carabinieri, dopo aver perquisito la casa di residenza, lo traggono in arresto e lo portano in caserma. Al momento dell’arresto il giovane gode di ottima salute, frequenta quotidianamente un corso di prepugilistica. L’indomani viene condotto presso il tribunale di Piazzale Clodio, c’è il processo per direttissima, i genitori hanno la possibilità di vedere nuovamente Stefano, ha il volto segnato ma sta ancora bene. Quindi viene condotto nelle celle di sicurezza del tribunale e nel buio di quei sotterranei si concludono i contatti tra il ragazzo e la famiglia e con molta probabilità si decidono le sorti di quella giovane vita.
Il giorno seguente una telefonata raggiunge i famigliari, Stefano è stato ricoverato d’urgenza dopo un malore e ora è in stato di degenza presso la sezione penale dell’ospedale Sandro Pertini. I genitori si recheranno a più riprese in ospedale per avere notizie, ma ogni volta ottengono un rifiuto, non c’è da preoccuparsi, la vita del giovane è custodita tra le mani dello Stato. I giorni passano nel totale silenzio, la mattina del 22 ottobre i carabinieri si presentano nuovamente a casa Cucchi, si tratta di una pratica amministrativa, devono notificare alla famiglia il decreto del pubblico Ministero per l’incarico del consulente d’ufficio ad espletare l’autopsia per il decesso di Stefano. In questa maniera la famiglia viene a conoscenza della morte: “si è spento, non voleva le nostre cure, aveva sempre un lenzuolo sulla faccia! Si è praticamente spento.”
Il giovane per i medici “si è praticamente spento”, ma la spiegazione non basta ai genitori che hanno consegnato una giovane vita nelle mani dello Stato e ora si trovano a fare i conti con un dolore insopprimibile. Qualcosa si accende nella famiglia, qualcosa di più composto e orgoglioso della rabbia di chi ha perso un figlio, si tratta di un anelito alla verità e alla giustizia che in pochi giorni finirà per coinvolgere tutti i media e l’opinione pubblica.
I genitori si recano all’obitorio, vogliono vedere il corpo del ragazzo, Stefano è irriconoscibile: ha un occhio gonfio e l’altro completamente incavato, la mascella è rotta e il viso cotto da una sofferenza prolungata.
Questa è l’unica verità che viene consegnata alla famiglia Cucchi e da questa verità partono per una lotta legale che possa almeno portare pace alle sofferte spoglie del giovane. Le immagini cruente del corpo si rincorrono nella rete, si apre un’interrogazione parlamentare sul caso, il Ministro Alfano parla addirittura di: “caduta accidentale dalle scale”, cui segue Giovanardi: “Stefano Cucchi è morto perché anoressico, drogato e sieropositivo”. La famiglia nomina allora Fabio Anselmo, già legale del giovane Aldrovandi, interviene Angiolo Marroni, Garante dei diritti dei detenuti del Lazio. S’increspa l’opinione pubblica: c’è un sottile filo nero che collega la morte di Stefano a quella di molti altri detenuti, dal ferroviere Pinelli fino al giovane Aldrovandi, la storia di Stefano non è più solo la storia della famiglia Cucchi ma diviene la storia di tutti coloro i quali credano nel valore della parola Giustizia.
Iniziano le perizie, le cartelle cliniche risultano imbrattate, piene di correzioni e aggiustature, i medici risultano inadempienti: non hanno scelto il trattamento sanitario obbligatorio per salvare il ragazzo.
Un detenuto del Gambia dichiara di aver assistito al pestaggio del giovane, in brevissimo tempo viene trasferito nel carcere di Teramo dove muore in circostanze tutte da spiegare.
Struttura e stile: Stefano entra in carcere per non uscirne più, “mio figlio in quei momenti era sotto la tutela dello stato” ha tuonato la voce sofferta del padre. Eppure le foto mostrate coraggiosamente dalla famiglia rimangono per ora l’unica verità, rimangono le uniche ancore di salvezza di uno Stato, che ha fallito nel preservare la dignità umana di un ragazzo che gli avvenimenti avevano posto sotto la Sua tutela.
La morte di Stefano Cucchi è stata una Via Crucis, la graphic novel ne ripercorre cronologicamente tutti i momenti, dall’arresto fino alla morte, alla pubblicazione delle foto del corpo straziato e al risalto mediatico che ha avuto la vicenda. L’opera ha goduto dell’aiuto dell’Associazione “A buon diritto” che ha reso pubblici gran parte dei documenti riguardanti lo stato di detenzione del giovane, mentre ha volutamente tralasciato una dissertazione di carattere investigativo, non ritenendo la sede opportuna e scontrandosi con una vicenda fatta di dichiarazioni ed enigmi fortemente discordanti e ancora in fase di risoluzione. Si è voluto mantenere il racconto all’interno di binari volutamente allegorici, analizzando quello che spesso viene definito “il buio della giustizia” o per utilizzare parole di focaultiana memoria: “la singolare pretesa di sorvegliare e punire per correggere”, analizzando le falle che sono alla base sia del sistema di detenzione ma anche il perseverare di una gestione violenta dell’autorità pubblica che inserisce questo caso nel novero delle vicende e delle morti oscure avvenute nelle strutture penitenziarie italiane soprattutto negli ultimi anni.
Lo stile istintivo ma deciso e la tetra monocromia degli ambienti descrivono l’ennesima macchia nella storia della giustizia italiana. Nel disegnare la sceneggiatura, il rintracciare materiale fotografico della famiglia Cucchi e nel ripercorrere la tragedia passo passo gli autori hanno provato un forte senso di disagio verso un paese che forse non si distingue più per la bellezza dei paesaggi quanto per le ingiustizie che li logora. Sia il testo che le illustrazioni vorrebbero inseguire appunto un criterio di allegoria telegrafica, svelare gli arcani e le ingiustizie che non appartengono solo a questa vicenda ma ad un sistema più complesso.
Luca Moretti ha trentadue anni e vive a Roma. Nel 2003 ha fondato la rivista letteraria TerraNullius e preso parte alla rivista Lingua Italiana d’Oggi (Bulzoni). Nel 2005 e nel 2007 ha pubblicato due raccolte di racconti per Coniglio editore. Nel 2006 e nel 2007 ha curato due antologie: “Al di là del fegato” (Bamako) e “Il Primo bacio fa schifo” (Coniglio). Dal 2008 è curatore della collana di narrativa minimale “Microlit” (18:30 edizioni). Da più di un anno dirige i corsi di scrittura creativa presso la cooperativa sociale Agorà di Roma. Nel 2009 ha curato l’antologia “Dove sognano le tartarughe” (Perrone) e pubblicato il suo romanzo d’esordio “Cani da rapina” (Purple Press).
Toni Bruno, classe ’82, siciliano trapiantato a Roma. Ha illustrato libri per Newton&Compton, disegnato vignette per L’Unità e fumetti per la Coniglio Editore. La sua prima graphic novel: “Lo psicotico domato” è edita da Nicola Pesce Editore.
h 21 MICHELE ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
(ITALIA 1978, col, 23’) di Alberto Grifi
Uno straordinario film del 1978 sulla condizione carceraria commissionato e poi censurato dalla Rai.
dalle 19,00
Angelo Mai
Roma