Il rapporto dei registi teatrali, anche i migliori, con il mito classico, pure quando è riletto come in questo caso da un altro artista, è un rapporto dolorosissimo, oserei dire quasi di sofferenza. La materia che il diretto responsabile della scrittura scenica si trova davanti è non solo di una bellezza poetica disarmante, ma è anche una foresta irta di difficoltà ed è in quella foresta che il regista deve infilarsi trovando la propria strada. Giancarlo Cauteruccio con questo spettacolo dedicato a Medea e dunque a tutte le donne (migranti e non) allontanate dal proprio alveo familiare, tradite, raggirate vendute a un destino infame, ci riesce, si prende le proprie responsabilità e recuperando la lezione di Corrado Alvaro (La lunga notte di Medea andò in scena per la prima volta nel ’49) immerge il suo teatro in un mare di musica e atmosfere meridionali.
Il fondatore della compagnia Krypton riesce nel suo intento (rievocando beninteso e non rappresentando) senza cadere nella didascalia (se non per un uso, a mio avviso, inopportuno e ridondante di alcune proiezioni): la scena è infatti minimalista sul fondale e ai lati pedane di metallo creano un percorso per gli attori (forse non completamente sfruttato), sul pavimento e su queste piattaforme grandi lenzuola coprono di bianco la scena e sul fondale stilizzano un ipotetico paesaggio sul quale all’occorrenza compare e scompare il romantico satellite del titolo.
In questo paesaggio scenico bene si articola la recitazione di Patrizia Zappa Mulas, lontana da qualunque macchinazione psichica, la sua voce è come un vento forte, dolce e rauca al contempo, lasciando quasi sempre aperta la battuta in un recitativo in levare, trova una sua impronta stilistica determinante nel caratterizzare tutto lo spettacolo, vacillando con coraggio tra l’ironico destreggiarsi via dal personaggio e tratti di piena passionalità. Ed è sempre la sua voce che lega tutto il tappeto sonoro del dramma inteso come un unico intersecarsi di voci, musiche (affascinanti e invisibili nel tocco degli interpreti e nella creazione di Peppe Voltarelli) e suoni; un tappeto nel quale sono intarsi preziosi le interpretazioni delle due nutrici/coreute (Laura Marchianò e Rosalba di Girolamo); le loro filastrocche, il recitato ampio della Mulas e la musica rincorrono e abbracciano le arie dei flauti per poi battere sulla ritmica delle percussioni.
L’impatto emozionale e stilistico cresce nell’ora di spettacolo fino a liberare un lungo applauso dalla platea affollatissima del Teatro India quando, dopo il sangue versato per il figlicidio sotto forma di abbagliante luce rossa che inonda tutto il bianco della scena, gli attori tornano a sedersi sulle loro sedie nel fondale, lì da dove sono venuti.
Andrea Pocosgnich
in scena
fino al 17 aprile 2010
Taetro India [vai al programma 2009/2010 del Teatro India]
Roma
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Rappresentazione di grande impatto visivo e sonoro basata su una grande idea registica:peccato per l’eccessiva scarnificazione rispetto al testo originario di Alvaro e per una parziale inadeguatezza della protagonista, bambola diafana ma talvolta algida e pcco convincente. Grandi applausi per tutta la compagnia, nella quale si esaltano i due Cauteruccio (in costumi vagamente guerreschi) e la nutrice; “déjà vu” finale con l’esposizione dei cadaveri dei figli di Medea su lettighe e sedie a rotelle da ospedale (Ronconi?)