C’era una volta un critico ungherese, concedetemi lo sfacciato accademismo, si chiamava Peter Szondi, nel suo Teoria del Dramma moderno analizzò la crisi della forma drammatica. Szondi vide in autori come Beckett alcuni tentativi di soluzione di una crisi iniziata al tempo di Ibsen. Il teatro dell’assurdo, del “vuoto conversare” insomma come risposta all’incapacità della forma teatrale classica di rappresentare il presente. Non si agitino gli storici del teatro se in questo discorso, a quasi 60 anni dalle considerazioni di Szondi, di soppiatto, senza fare troppo rumore, faccio rientrare Fabio Massimo Franceschelli, autore e regista di una delle compagnie del Consorzio Ubusettete, la Olivieri Ravelli Teatro, che in questa settimana è stata al Teatro Colosseo con l’ultima produzione, Terzo Millennio.
Certo può apparire una forzatura direte voi, cosa avrà mai da spartire Franceschelli con quei pezzi di storia da me incautamente citati? Ebbene l’assurdo di spettacoli come Appunti per un teatro politico e Terzo Millennio non è forse l’evoluzione postmoderna di quei tentativi di salvataggio evidenziati da Szondi negli anni ’50? Non è forse nella caduta (o improvvisa ascesa, dipende da quale lato si guardi la cosa) di stile demenziale che l’assurdo trova la sua giusta forma da terzo millennio appunto?
Un maiale e un pescatore si incontrano in un luogo imprecisato, si accennerà poi ad una improbabile isola, ma senza crederci troppo, qui i due personaggi, sempre coscienti del loro essere personaggi, dunque creature di invenzione, e nella totale immobilità fisica – in questo spettacolo vi è un azzeramento di qualunque fisicità esteriore o atletismo di sorta se non un’ironica parantesi – passano dal discorso ontologico a battute che risulterebbero volgari o banali se estrapolate dal contesto. In un intrecciarsi di abili passaggi drammaturgici, iperbolici monologhi si susseguono a stretti dialoghi interrotti da eruzioni di violento sarcasmo.
Nonostante sia stato scritto quasi 10 anni prima di Appunti per un teatro politico – lo stesso autore ha ammesso una certa ingenuità in alcuni punti rispetto al quel testo che invece ha debuttato nel 2007 – Terzo Millennio non è meno coraggioso. È presente anzi un’atmosfera ancora più imperscrutabile, con personaggi del tutto svuotati nei propri caratteri e privi di memoria, passata un’ondata di demenziali dialoghi tornano a chiedersi da quanto tempo siano in quel posto, se si fossero mai conosciuti prima e quale sia il loro ruolo nel gioco. Vedendolo o leggendo questo lavoro – i testi di Franceschelli sono un piacere anche nella lettura – proprio dopo Appunti si ride anche del casuale paradosso per il quale proprio quella femmina, quel “culo” bramato da Sir Jacksonn e mai avuto, appare in scena nella seconda parte di Terzo Millennio. La voce e il corpo glielo presta superbamente Francesca Guercio, è lei il terzo personaggio oltre all’umano maiale di Claudio di Loreto (incontenibile come sempre) e al pescatore interpretato da Alessandro Margari. La donna prende il posto del busto di un manichino nero in plastica poggiato su una sedia alla destra del maiale, le tre entità quasi non si muovono, modificano di pochissimo le proprie posizioni, senza mai scambiarsi di posto, senza accennare a un dialogo che sia fisico oltre che verbale, ognuno vive il vuoto del proprio universo, ognuno, abita il proprio assurdo staticamente. Sono pescatori inetti non per capacità, ma per colpa di “una museruola troppo stretta”, sono vecchi maiali nati già vecchi in perenne attesa di un evento che li venga a eliminare o salvare, sono donne “né puttane, né donne ma solamente donne”
Il comico nasce insomma non solo dall’assurdo, ecco l’altra marcia in più nei testi di Franceschelli, ma anche dalla creazione surreale e alogica di momenti narrativi sorprendenti per originalità e folgoranti per capacità immaginifica e allora si ride anche di humor nero di fronte alla violenta storiella raccontata dal pescatore, nella quale due felici coniugi, arrivati all’apice del successo si rendono conto di trovarsi di fronte a un’inevitabile discesa; ecco lo scarto illogico, con un pensiero che farebbe sorridere un surrealista come Witkiewicz, la moglie senza tentennamenti chiede al marito di uccidere le proprie figlie e poi suicidarsi rimanendo così libera di risposarsi con il cugino Robert di Miami dal quale avrà subito una splendida bambina. Questa come altre preziosità si intrecciano in un un tessuto drammaturgico di altissimo livello per stile, ritmi e musicalità da rendere la scrittura di Franceschelli, a mio modesto parere, unica nel nostro teatro.
Andrea Pocosgnich