Dedicato a chi pensava che stare in bilico è il primo passo per cadere. Con un brivido cervicale sento aria, profumo dei festival estivi del teatro italiano, quelli in cui ci si ritrova e che si cerca sempre più di aprire ad altre famiglie, che vengano, e vengano ogni giorno, a prendere il caffè da noi. Ecco l’apertura di Vertigine, che l’Auditorium di Roma, la vera grande piazza costruita per l’arte di questa città, ha sentito scorrere per forse la prima volta, e così forte, nelle sue membra sempre compassate, nella sua macchinosa essenzialità. E invece ecco una linfa strana e vitale passarci attraverso, credo nessuno l’avrebbe previsto, un siero sorridente di una vivacità espressiva cui sono abituato, e che mi ha conquistato dal primo spettacolo visto in questa città.
L’attesa era tutta la nostra, in effetti, si parlava dei giurati stranieri, che avrebbero visto spettacoli per noi anche usuali ma che per la prima volta si confrontavano con un panorama internazionale di questo rilievo: così mentre fuori la roulotte di Caravankermesse, di David Batignani e Natascia Curci, accoglieva in un mondo segreto, che sembra nascere e morire attorno al loro nomadismo di strada, Vincenzo Schino, regista di Opera, ha iniziato il suo Voilà con Pulcinella che uccide Arlecchino, e quale migliore manifesto per un teatro che ha voglia di esistere e chiede residenza senza permesso, dalla sua espressività di tessuto regale, le sue maschere tenebrose, l’attrazione dell’ignoto sentiero dell’arte, alla frastornante drammaturgia di Daniele Timpano, Dux in scatola il suo ormai classico lavoro, e ce n’è voluto a parlare del viaggio di una salma così ingombrante, per conventi e cantine d’Italia, ci voleva a spiegare che noi della nostra storia non abbiamo paura, come Anselm Kiefer e il suo decòr nazista, sappiamo che con questo passato dobbiamo confrontarci, per davvero rinascere a nuovo senso; poi è toccato a Remember me, di Sineglossa, per la regia di Federico Bomba, spettacolo nato da una costola del loro Undo, e che richiama all’arte contemporanea con un
profondo senso estetico e un forte lavoro emotivo; la drammaturgia di ritorno è quella di Teatro Minimo, testo di una certezza qualitativa, Michele Santeramo, in scena una pulizia eccellente per due ottimi attori: Michele Sinisi e Vittorio Continelli, carcerieri improbabili, figli della costruzione mediatica della deformazione cronachistica di questo paese, nel loro Sequestro all’italiana [leggi la recensione]; e come tradurre il fiume in piena di Babilonia Teatri, da più parti definita la più forte novità drammaturgica degli ultimi anni, la loro accumulazione, espressione magmatica che tenta di raccontare un paese, forti di un entusiasmo debordante, davvero che lo sappiano i giurati internazionali, questo sì, veramente Made in Italy [leggi la recensione]: made, dall’inglese fare, ecco, appunto, qualcosa la sappiamo fare anche noi. E bene.
L’attesa. E la conferma di esserci. Un festival che è specchio del nostro paese, non solo del nostro teatro, una rivelazione anche per chi non credeva ci fosse tutto questo e invece c’è, ed è forte, la vivacità di ogni piccolo fuoco dell’arte, in ogni piccolo teatrino e sala prove del più sperduto paese, abbiamo ancora tanto da dire. Chi se l’aspettava. Forse nemmeno io. E allora, pertanto, dedicato un po’ anche a me.
Simone Nebbia
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