Se non si ha la forza di una riscrittura o il coraggio di osare affondando le mani nella poesia di Euripide, un testo come Ecuba rischia di diventare una messa in scena, più o meno credibile, più o meno riuscita di qualcosa a noi lontanissimo.
Questo sembra essere il risultato dello spettacolo di Carlo Cerciello in scena fino al 28 febbraio al Teatro Eliseo di Roma (e poi Mercadante di Napoli e Gobetti di Torino). Uno spettacolo che si regge solamente sulla resa visiva, sulla costruzione scenografica. Le miserie di colei che fu la regina di Troia sono cantate all’interno di un palazzo/mattatoio che appare in un bianco asettico e piastrellato, un sipario semitrasparente (sul quale verranno proiettati effetti in computer grafica) cela il suo interno nel quale si erge una sorta di altare (ma anche tavola da macello) senza ornamenti, qui giacerà il corpo di Polissena dopo il sacrificio. Ciò che appare di fronte agli occhi dello spettatore è un’atmosfera futurista fatta di simmetrie e contrasti: il bianco del palazzo si contrappone all’espressionismo delle luci di Cesare Accetta; le tuniche semplici ed arcaiche di Ecuba e delle altre schiave si muovo in un ambiente dal segno multiforme e ipercontemporaneo costruito da Roberto Crea.
L’idea di creare un’ambientazione irreale, lontana nel passato e nel presente, ma permeata di una visione della vita e della morte sostanzialmente ancorata a riti di sangue, è una lettura interessante come non ammetterlo. Sul fondale del palco si erge la grande raffigurazione di un bovino, il verde fosforescente traccia le parti dell’animale pronte per il macello, i protagonisti uomini degli Achei, Odisseo (Niko Mucci) e Agamennone (Fortunato Cerlino) sotto a giacche e camice (rossa come il sangue è quella di Cerlino) vestono dei grembiuli da macellaio, portando insomma l’onta dell’omicidio con loro ad ogni passo e determinante infatti è l’ultimo monologo di Ecuba nel quale Isa Danieli appare al pubblico, in piedi sull’altare dove giaceva il copro della figlia, con un grembiule uguale, anch’esso sporco di sangue dopo essersi macchiata della feroce vendetta ai danni di Polimestore e dei suoi figli.
E allora perché non basta tutto ciò? Fondamentalmente perché come tutte le tragedie greche anche Ecuba è un’opera d’arte della parola, è poesia. È qui che vacilla la regia di Cerciello, è qui che non basta l’interpretazione della Danieli (solo a sprazzi credibile), è qui che si sente il maggior bisogno di lavorare sulla parola in quanto atto comunicativo primario. Nella celebrazione del fasto visivo rimane insomma la percezione di un crollo nella realtà espressiva dei personaggi e la quotidianeità che questi bramano nelle proprie battute stride proprio con la trasposizione temporale e spaziale del dramma. Attenzione la convenzionalità del teatro greco può essere anche sacrificata all’altare del realismo, nessuno lo vieta, ma in questo caso la via va percorsa sino in fondo quasi a rasentare l’ossessione di Antoine o del primo Stanislavskij. Questo avrebbe imposto un lavoro diverso sul testo, ma avrebbe anche creato un’interessante antinomia con la creazione scenografica. Gli attori di questa Ecuba invece, la maggior parte delle volte, non sembrano protendere né verso un profondo realismo, e tanto meno verso una stilizzazione delle convenzioni espressive.
Che qualcosa nei dialoghi non funzioni lo dimostra proprio una delle ultime scene, la più riuscita, l’incontro tra Ecuba e Polimestore, è qui che il duetto sapientemente creato nell’immobilità dei due personaggi porta per alcuni minuti la tragedia in un limbo di indefinita spettacolarità. Franco Acampora tratteggia i contorni di un Polimestore ironico, rompendo la voce profonda con acuti guizzi di sofferenza e nel dialogo con Ecuba sospende il tempo e lo spazio in quell’aura di rituale misticismo che ben si adatterebbe a tutto lo spettacolo.
Andrea Pocosgnich
redazione@teatroecritica.net
in scena
fino al 28 febbraio 2010 [vai al programma 2009/2010 del Teatro Eliseo]
Teatro Eliseo
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Prossime date:
dal 03/03/2010 al 14/03/2010
Napoli – Teatro Mercadante [vai al programma 2009/2010 del Mercadante]
dal 16/03/2010 al 21/03/2010
Torino – Teatro Gobetti [vai al programma 2009/2010 del Teatro Gobetti]
Ho visto lo spettacolo , qui recensito, appena ieri sera , al Mercadante di Napoli, e condivido la lettura di Andrea Pocosgnich. Ho avuto l’impressione di una realizzazione complessiva incerta, rimasta a mezza strada tra una rivisitazione spinta verso i temi della violenza, della vendetta, del sacrificio, del destino ( che si sarebbe giovata di un’espressività più esplicita e intensa) e un tentativo di riproporre forme e rituali stilizzati. Tutto questo mi è apparso evidente quasi in ogni aspetto dello spettacolo ( recitazione, movimenti, scenografia e via dicendo). Il momento che ho più compreso e sentito è semplicemente quello in cui, stancamente, Ecuba, alla fine della tragedia, dopo avere compiuto la sua vendetta su Polimestere e i suoi figli, si è tolta il grembiule, rassegnata a una inutile e fatale catena di sangue.