E’ strano l’impatto iniziale che il pubblico del Teatro Palladium ha avuto ieri sera (30 gennaio) con lo spettacolo di Teatro Forsennato, un inizio difficile, quasi a cercare di contestualizzare quello che si trova davanti. Nonostante fosse scritto su volantini e locandine l’effetto di trovarsi di fronte a uno spettacolo creato, agito e realizzato in quel momento in tutte le sue parti da un solo autore con i suoi “pupazzi” è stato spiazzante. Per un attimo alcuni potrebbero aver pensato di essere il pubblico di uno spettacolo per bambini, uno spettacolo di marionette e per certi versi è stato così.
Le voci di fuori di Dario Aggioli — regista di Teatro Forsennato, una delle compagnie appartenenti al consorzio Ubusettete, al quale la Fondazione Romaeuropa ha aperto il proprio spazio per due giorni — è stato partorito anche grazie alle due settimane di residenza creativa che la compagnia ha ottenuto allo Spazio Off di Trento dopo aver raggiunto le semifinale dell’ultimo Premio Scenario. È in questo spazio che l’artista romano ha mostrato per la prima volta il suo One man show della solitudine.
Aurelio Fuori, ventriloquo di professione, è rimasto solo. Con la fama e il successo è arrivata anche la solitudine, spettro e malattia sociale del nostro tempo. L’amore che conobbe ai tempi degli spettacoli creati per le sagre paesane lo ha lasciato, ora Aurelio è solo, nella sua casa, con i suoi ricordi e l’ossessione di un pupazzo perfetto che non è mai riuscito a costruire.
Sarebbe la storia di un artista come tanti, potrebbe essere un monologo strappalacrime, invece è uno spettacolo per pupazzi parlanti, sono loro a narrarci la storia del proprio creatore. Al microfono, le luci, i suoni e le macchinazioni: Dario Aggioli per l’appunto. Uno storia dove l’umanità è corrosa dall’isolamento non poteva essere messa in scena che da un uomo solo. Solo e poco visibile dato che appare chiuso all’interno di uno spazio scenico quadrato di piccole dimensioni, dietro a una rete a maglie strette. Sopra di lui sono ammucchiati i pupazzi ai quali dall’interno darà voce. Con l’abilità di un burattinaio multimediale Aggioli fa parlare il primo calzino con il quale Aurelio sperimentò la sua voce interiore quando era ancora un bambino, poi una bambola chiusa in una scatola, il personaggio in frack e cappello che costruì per la televisione, a ognuno grazie a una strumentazione elettronica “suonata” dal vivo viene donata una voce diversa e dunque un carattere proprio.
Vi è un’artigianalità moderna nel lavoro di Aggioli che dà l’impressione del divenire stesso dello spettacolo, non assistiamo a una narrazione, ma alla costruzione dell’atto narrativo. Eppure potrebbe essere uno spettacolo per bambini e forse lo è grazie alla capacità evocativa con la quale mette in moto meccanismi di fantasia la maggior parte delle volte anestetizzati nel pubblico. Lo spettatore non deve far altro che abbandonasi a uno show costruito a mani nude che pecca solo nel momento in cui Aggioli vuole di proposito rompere il meccanismo fantastico parlando con la propria voce, quella reale e uscire dal proprio spazio per mostrarsi al pubblico. Nel suo voler mostrarsi umano crolla quel castello di fantasia a cui eravamo disposti a credere.
Andrea Pocosgnich
redazione@teatroecritica.net
visto il 30 gennaio 2010
al Teatro Palladium [vai alla stagione 2009/2010 del Teatro Palladium]
Roma
Leggi anche l’articolo di presentazione del Consorzio Ubusettete al Palladium
Grazie
sono lusingato!
Concordo anche in parte con la critica finale.
Certo è che volevamo rompere lo spettacolo!
Forse però non la poesia!
Sicuramente è sbagliato parlare (è stata anche l’unica volta compreso le prove che è stato fatto), ora vedremo di migliorare.
Grazie alla critica che ci aiuta a scardinare le nostre certezze!
Dario Aggioli
Teatro Forsennato
Consorzio Ubusettete
ecco!
dopo una settimana al colosseo delle modifiche ci sono state
e la pecca che trova Andrea, ora non credo ci sia più
dato che la scena a cui si riferisce è stata tagliata!
GRAZIE ANCORA ANDREA,
penso che tu sia un critico utile al teatro
ai teatranti e al pubblico,
che cerca un incontro, un confronto e non uno scontro.
Grazie ancora, perché il mio spettacolo è migliorato, grazie a te e al pubblico che si è confrontato con me (alla fin fine come dice Lucidi, voi critici siete solo “pubblico allenato”)