Lo presenta come un non-spettacolo Cosentino il suo ultimo lavoro, si avvale di giochi metateatrali scoperti (come un banchetto dal quale controlla luci e musiche o l’uso di un personaggio che descrive quello che lo spettacolo sarebbe stato se l’autore non fosse morto), eppure l’intento e il risultato sono chiari sin dall’inizio: lo spettacolo da fare, del quale vuole raccontarci, è lontano dall’essere una semplice improvvisazione, ma è in realtà un’efficiente macchina creatrice di emozioni. È la capacità affabulatoria di Cosentino che si determina lì in quel momento davanti al pubblico, è una corda tesa tra il narratore e i suoi spettatori. Questo canale emozionale grazie al quale l’artista abruzzese ha fagocitato l’attenzione del pubblico durante una prima affollatissima al Teatro Argot non si è mai chiuso. Per più di un’ora Cosentino è stato capace di far pendere dalle proprie labbra una platea tutt’altro che facile con una drammaturgia costituita essenzialmente da un movimento altalenante concepito per creare nell’immediato il tragico e il suo opposto, ovvero un riso dal potere quasi terapeutico proprio perché sgorgante dalla tragedia. L’alternanza emozionale si riflette anche in un disegno drammaturgico fatto di un continuo susseguirsi di realtà e finzione. Forse è questa la maggior novità apportata da Cosentino: l’irruzione della realtà autobiografica all’interno del meccanismo della finzione.
I momenti dove Cosentino fa parlare i suoi personaggi, con la comicità diretta che ne consegue, si alternano alla narrazione di eventi recenti della vita dell’artista, è il Cosentino “vero”, quello che vuole parlare diretto, senza recitare. È’ in questo preciso momento che l’efficiente marchingegno emozionale si mette in moto, il percorso di vita dell’autore, che è lì in quel momento a raccontarsi in scena, irrompe in tutta la sua tragicità, sa un po’ di emozione preconfezionata, ma non fa niente, ci pensa il matto di corte a farci dimenticare i morti in battaglia. Non solo Cosentino distrugge il pathos da lui stesso creato con le battute dei suoi personaggi comici, in questo caso le maschere hanno il compito di dire la loro sulla veridicità dell’allunaggio e lo fanno creando assurde storie attraversate dalle teorie di Darwin e da 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, ma attua inoltre un procedimento di straniamento per il quale annulla il senso del tragico semplicemente parlandone. L’analisi ironica degli effetti sembra in questo caso annullare anche la causa scatenante. Il risultato è uno spettacolo vivo, imperdibile, fatto di pancia e cervello, godibilissimo in tutte le sue parti che mostra un “Cosentino drammaturgo” maturo e coraggioso.
Andrea Pocosgnich
redazione@teatroecritica.net
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in scena
fino al 24 gennaio 2010
Teatro Argot [vai al programma 2009/2010 del Teatro Argot]