I Muta Imago, da sempre, hanno avuto una enorme capacità di stupire il pubblico, tratto distintivo di spettacoli come (A+b)3, Lev o Come acqua, era una spinta continua verso la meraviglia scenica. Questo tratto d’altronde li avvicina a un altro gruppo coevo, Santasangre, ma se negli spettacoli sopracitati la ricerca dello stupore scaturiva dalla combinazione dei diversi elementi linguistici che caratterizzano il linguaggio di Muta Imago (performer, luce, immagine, ombre derivanti, musica), in questo Madeleine lo stupore deriva in gran parte dalla “macchina scenografica” che domina lo spettacolo.
In scena al Palladium fino al 22 novembre grazie al Romaeuropa Festival, l’ultima fatica del gruppo romano (ormai dal profilo nazionale e internazionale) ha un carattere barocco dato dalla presenza e dall’animarsi di una struttura costituita da pannelli in plexiglass. Questa serie di specchi è posta, durante l’incipit, nella parte alta del boccascena, nell’oscurità della sala, (il buio, come in Lev, è un elemento costante e costituente di tutto lo spettacolo) vi appaiono due corpi, si fatica a distinguerli, sembrano distanti. Forse neanche sembrano corpi, poi il loro contorcersi, quasi una danza amorosa sospesa nel buio, svela tutta l’umanità delle due figure. È probabilmente l’immagine e il momento più significativo dello spettacolo; ricorda Il soffio sull’angelo, un’installazione a cupola di studio azzurro sulla quale venivano proiettati i corpi semoventi dei danzatori.
Il tema è quello del sogno e della paura che da questo scaturisce, ma al sogno sono legati anche la memoria e lo svelamento dei suoi inquietanti meccanismi. Madeleine, quando finalmente appare davanti al pubblico, si sente fuori posto è estranea a questo luogo, ha paura e allora decide di tornare nell’ombra spegne la luce sotto cui si muove e torna dietro i pannelli. La luce disegna, la luce ricrea, la luce confonde e acceca. Nell’ incubo Madeleine si sdoppia, combatte e ama l’uomo della sua vita, sparisce per nascondersi nell’ombra e riapparire sotto un’altra flebile luce in una girandola immaginifica amplificata dai tremendi tonfi di un costante tappeto sonoro a basse frequenze.
Interessanti erano le intenzioni del gruppo che nelle parole di Riccardo Fazi (drammaturgia e suono) presentava così il lavoro “Perché ci sentiamo assediati. Perché sentiamo che qualcosa di terribile sta per accadere, e non sappiamo come reagire, e ci rintaniamo nelle nostre case di carta, sperando che reggeranno all’impatto. Abbiamo paura cerchiamo di ignorare i segnali, che pure esistono; sminuiamo il nostro stesso sentire. Il passato preferiamo archiviarlo, tenerlo in costante liquidazione; al futuro, ci è impedito di pensare, troppo occupati a preservare un presente costantemente minacciato.”
Lo spettacolo risente invece, a mio avviso, proprio di una eccessiva costruzione scenografica, a parte alcuni momenti non riesce a ricreare quella poesia che caratterizzava i precedenti lavori, la scrittura drammaturgica sembra sacrificata rispetto all’effetto esteriore (sia per la parte visiva che uditiva) e noi spettatori, presi in mezzo al trambusto da lunapark per un po’ ci divertiamo, ma poi ci accorgiamo che l’emozione è rimasta sulla pelle senza andare oltre.
Andrea Pocosgnich
redazione@teatroecritica.net
Vista il 21 novembre 2009
Teatro Palladium – Romaeuropa Festival 2009
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