Si attaccano manifesti del proprio spettacolo, megalomania, senso della grandezza, moltiplicazione del proprio ego e della propria immagine. L’importante è esserci, non fa niente se il manifesto è messo per storto, non dipende dal motivo o dal movente, noi dobbiamo sapere tutto. Dobbiamo tenerci informati, dobbiamo conoscere. Ma fermiamoci un attimo: cosa dobbiamo conoscere, quale informazione stereotipata ci viene data in pasto ogni giorno? Come fosse mangime preconfezionato provoca dipendenza, ci rende allergici alla diversità, alla libertà d’opinione, all’approfondimento.
In questo humus si agita l’ultimo lavoro di Babilonia Teatri, in scena fino al 29 novembre al Teatro India. Chi vi scrive ha avuto la possibilità di vederlo subito dopo l’altro spettacolo in scena al’india in questi giorni, Amleto nella carne il silenzio, e il passaggio radicale che vi è tra le due rappresentazioni evidenzia ancor di più la concettualità della performance di Babilonia Teatri.
Lo spettacolo è frutto di un lavoro strutturato su vari studi che corrispondevano a livello produttivo alle diverse tappe nelle quali la compagnia veneta, richiestissima dalle rassegne di tutta Italia, veniva ospitata in residenza. L’inizio è quello performativo che abbiamo descritto, con il momento da happening, nel quale si attaccano i manifesti, poi una pausa, i tre si dispongono in mezzo allo spazio scenico e danno il via alla loro invettiva contro gli stereotipi radicati nella società dei media. Molti griderebbero al qualunquismo puro, come le magliette che portano, dedicate a Che Guevara e a New York allo stesso tempo, qualcuno potrebbe obiettare che l’invettiva di Babilonia abbia poco senso dato che se la prendono un po’ con tutto: i giornali con i loro ridicoli inserti creati solo per vendere qualche copia in più, il sangue che gocciola dal televisore ripensando a Carlo Giuliani, la morbosità che abbiamo avuto nel rivedere i filmati, nel conoscere viso e storia di Mario Placanica e poi l’infinita odissea di Cogne, con Porta a Porta e il plastico di casa Franzoni e ancora, l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi con le sue ultime parole “Ti faccio vedere come muore un italiano” ripetute a loop. Tutto questo diventa una preghiera laica d’accusa, i tre all’unisono cantano di un io presente e vivo solo nella morbosità di conoscere la scabrosità nelle notizie impacchettate dai mass media. Così nel ritmo monotono e implacabile di questa litania satirica non può mancare la vicenda di Veronica e Silvio, oppure il tira e molla sul martoriato corpo di Eluana, al grido di” Eluana è morta, Viva è viva Eluana è viva”. Potrebbe continuare all’infinito il caustico scioglilingua di Babilonia, per quasi 45 minuti lo spettacolo è puro codice vocale, nella totale immoblità del corpo, fino a quando grazie a un finale, genialmente e poeticamente concepito, nell’orgasmo straripante da un preservativo rotto affogano gli ideali del nostro secolo.
Andrea Pocosgnich
redazione@teatroecritica.net
in scena dal 24 al 29 novembre 2009
Teatro India [Vai al programma 2009/2010 del Teatro India]
Roma
Leggi l’articolo di presentazione
Leggi anche la Recensione di Simone Nebbia su Made in Italy
Prossime date per Pornobboy
9 gennaio, Atto Terzo, Teatro Filippini, Verona
14 gennaio, Civitanova Marche
22 e 23 gennaio, Teatro ITC San Lazzaro di Savena (BO)
29 e 30 gennaio, Teatro Studio, Scandicci (FI)
13 febbraio, Teatro Aurora, Marghera (VE)
25 e 26 febbraio, Teatro Garybaldi, Settimo Torinese (TO)
22 aprile, Spazio OFF, Trani (BA)
24 e 25 aprile, Scampia-Napoli