Insomma, non è che se mangio un frutto mi metta a parlare della buccia, però se voglio rispettare quanto mi chiede il regista, se voglio scrivere di uno spettacolo così particolare come questo, allora mi dovrò soffermare su quel che sta intorno e dentro, dovrò dire della buccia e del nocciolo, ma non della polpa; salvo scoprire poi che a guardare bene, forse l’essenza di una pesca pera o mela che sia, si coglie anche così. Pertanto, con un coltello in mano e una penna rinfoderata, mi sono trovato di fronte a questo An oak tree, testo dell’inglese Tim Crouch, portato in scena da Fabrizio Arcuri e l’accademia degli artefatti.
La struttura è questa: un attore conosce il testo, un altro, ospite ignaro della serata, non ne sa nulla. I due parleranno come danzare su un filo, con il rischio ogni volta di cadere. Pertanto, sul palco, si realizza l’impossibile: mentre di solito la convenzione teatrale vuole l’accordo tra gli attori in scena che si misura sulla comprensione degli spettatori, questa volta è il pubblico ad essere segreto complice di un abuso (come recita il titolo del progetto), ed invece è uno degli attori a non sapere nulla, lasciandosi dileggiare e coinvolgere nei meandri – stavolta è giusto dirlo perché è come essere per loro nella giungla – del testo.
In questa sorta di inganno che sempre è il teatro (ma tra i più veri che si possa perpetrare…), il gioco a circuire mi pare davvero un abuso, ma in senso non elogiativo, perché l’attore coinvolto mi sembra mal gestito, male utilizzato; per esempio gli si chiede inizialmente di divertirsi e non improvvisare, dunque gli viene tolta qualsiasi possibilità di “essere” per quella sera, con il risultato che credo non si diverta affatto. Questo inevitabilmente dà, di contro, un testo bloccatissimo che non dà spazio alle fughe, così che la parola ragionata troppo sovrasta la parola istintiva, la quale non ha così lo spazio di esplodere e colpire.
Ne viene che la costruzione del racconto è disarticolata, mi sembra un gioco troppo difficile da reggere, perché si sciolga il bilico a favore di una quiete scenica, la tensione pertanto è il tema fondamentale, ed è un bene che lo sia, perché mi spinge a considerare quel che mi permette di cogliere, forse, parte dell’operazione: non si tratta qui di far ridere, di colpire una percezione con il tocco forte dell’istintività di scena, si tratta di indagare gli interstizi dove scorre il pensiero e compone l’immagine, quando la mente – in tensione appunto – sceglie se quel che compone è realtà oppure finzione. Dunque l’equilibrio fra le tensioni: nel passo lieve fra l’erba e lo sterrato, fra il bianco ed il nero, sta il senso di questo abuso.
Simone Nebbia
in scena
fino all’11 ottobre 2009
Teatroinscatola
Roma
di Tim Crouch
trad. Luca Scarlini
In collaborazione con Rialto Santambrogio
Si alternano nelle repliche
Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Pieraldo Girotto
e ad ogni replica un attore ignaro del copione:
martedì 29
LORENZO LAVIA
mercoledì 30
MIRKO FELIZIANI
giovedì 01
IAIA FORTE
venerdì 02
MICHELA CESCON
sabato 03
GIANDOMENICO CUPAIOLO
domenica 04
MARIASOLE MANSUTTI
martedì 06
ALESSANDRO BENVENUTI
mercoledì 07
LISA NATOLI
giovedì 08
MICHELE BEVILACQUA
venerdì 09
CLEMENTE PERNARELLA
sabato 10
JUN ICHIKAWA
domenica 11 ore 18.00 FABRIZIO NEVOLA
domenica 11 ore 21.00 FIAMMETTA OLIVIERI
Regia Fabrizio Arcuri
Paesaggi sonori: Dj Rasnoiz
Cura degli ambienti Diego Labonia
Organizzazione Miguel Acebes
Produzione accademia degli artefatti07