Entrando al Teatro Quirino si respira un’aria particolare, teatralmente è uno dei posti più istituzionali di Roma e la stagione che sta per iniziare è probabilmente una delle più commerciali, ma per questi pochi giorni è il ritrovo del teatro di ricerca.
Durante la rassegna diretta da Lorenzo Gleijeses l’età media si abbassa, si aggirano per il teatro spettatori che probabilmente non vi hanno mai fatto visita. Nel Foyer la biblioteca, il caffè e i lampadari di cristallo convivono con un visual set, ovvero un corridoio di teli bianchi sui quali vengono proiettate le immagini che il dj, dal vivo, seleziona e poi naturalmente la musica elettronica. È un tentativo di svecchiare la casa dei morti, e forse è anche un tentativo riuscito, vorremmo vedere il Quirino così tutto l’anno.
Diverse generazioni compongono la massa degli spettatori, siamo tutti qui per Flatlandia, i posti sono solo un centinaio, e avere un ‘altra possibilità di vedere la creazione di Chiara Guidi a Roma non sarà facile. È tutto esaurito.
Andiamo sul palcoscenico dove ci attende una platea di legno con sedie di plastica. La scrivania da dove Chiara Guidi recita è a due metri dal pubblico, in una nicchia nel retropalco, dietro di noi c’è il sipario, è una sensazione strana, poi solo l’abbandono alla voce della Guidi.
Nei 55 minuti che seguono, il pubblico è fatalmente rapito dalla maestria di questa esile donna che indossando un vestito marrone ottocentesco legge le pagine di Flatlandia, di Edwin Abbot.
Eppure la co-fondatrice della Raffaello Sanzio non ha interpretato un classico dell’amore o della guerra e neppure un autore contemporaneo alla moda. Flatlandia è una metafora di altissimo livello, è un racconto fantastico, ma dal realismo accecante.
Per questo l’interpretazione della Guidi rispetto al testo del 1884, nella versione di Masolino D’amico, gioca con ironia proprio con l’atmosfera di mistero che aleggia attorno al racconto, ma allo stesso tempo ne fa emergere il messaggio. La narrazione di Abbot racconta di un mondo bidimensionale i cui abitanti sono figure geometriche piatte, dove ogni classe sociale è rappresentata da una precisa figura. Maggiore è il numero dei lati e più alta è la classe, fino a raggiungere un divino ed utopistico cerchio. Il narratore di questo mondo, dove la regolarità è alla base del sistema sociale, è un professore, ovvero un quadrato. Anche lui prima di incontrare un sfera proveniente dallo spazio credeva nell’esistenza delle sole 2 dimensioni, ma dovette cambiare idea quando l’alieno gli mostrò mondi pluridimensionali. Tornò nel suo mondo da profeta raccontando dell’esistenza di spazi ed esseri tridimensionali finchè, trattato come un eretico, lo rinchiusero in prigione.
Il suono curato da Marco Olivieri accompagna la performance vocale di Chiara Guidi, cori polifonici ed effetti sonori creano il tappetto su cui la voce dell’attrice può danzare. E poi è tutto un rincorrersi, un ritmo che si ricrea ad ogni frase, timbriche e toni diversi che quasi si contrastano e poi la scrivania, probabilmente microfonata, con la quale la Guidi crea effetti sonori che vengono riamplificati sopra le teste del pubblico. Il lungo applauso spezza la magia e ci riporta purtoppo alla realtà.
Andrea Pocosgnich
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visto il 19 settembre 2009
Teatro Quirino – Revolution Mad
Roma