L’amore sì, l’amore no. È sfogliando l’abusata margherita che si risponde a questa domanda, ogni petalo uguale a sé stesso rifiorisce, in ogni distacco dalla corolla, la stessa contraddittoria verità: il sì o il no si alternano con incredibile leggerezza, quasi noncuranza del risultato finale: sì o no, non importa, quel che conta è l’amore, presente in ognuna delle due affermazioni. Questo il sentimento proposto da Daniele Timpano ed Elvira Frosini, amnesiA vivacE/Kataklisma, nel loro Sì l’ammore no: un ribaltamento continuo nell’una o nell’altra direzione, che tuttavia non si negano ma sono facciate di un unico tema, l’ammore appunto, la foglia ritratta nell’istante in cui sta decidendo se restare appesa al ramo oppure cadere, la condanna a felicità o un suicidio a orologeria, la vita che si complica e distende, liberata o in catene, decisa ogni volta, solo per un sì o per un no.
L’ammore, due emme. Perché è il loro, pronunciato alla maniera che preferiscono, forse scorretto di grammatica, ma perfettamente corretto nel loro sentimento. L’ammore è quel che li lega anche nella vita, sposati per metterlo in scena verrebbe da dire sorridendo, ma cosa c’è di più vero che prendersi gioco della propria felicità diversità e poi nevrosi ora anche di coppia? Questo teatro, che appartiene più al percorso di Daniele Timpano e in cui Elvira Frosini si inserisce alla perfezione, è l’arte di sbeffeggiare sé stessi, le proprie paure, ansie, tradimenti dell’individualità in questo caso, e di non sentirsene affatto gravati.
In scena i due non fanno nulla di straordinario: corrono, cantano, ballano, si sposano pure, ma tutto con la leggerezza che appartiene al tema, quella sensazione di poter fare tutto e che tutto andrà bene, nella vita come in scena: in fondo quando si è innamorati non ci si sente proprio così? La loro storia, raccontata da entrambi, è falsa, si contraddice, come è giusto che sia, e allora forse capisco che cos’è l’amore, nel momento finale: una radio che perde costantemente segnale e passa di stazione in stazione, una canzone ne soppianta un’altra di altro genere, magari le continua anche a suonare in sottofondo, ma non importa: in questo enorme, assordante frastuono, ci sono un uomo e una donna che non capiscono, ballano cantano si amano, e pure vanno avanti.
A fondamento dello spettacolo c’è la devianza cui siamo stati costretti, parlando d’amore, dalla cultura pop e dalla televisione, che li porta a giocare con la musica, tradire sentimenti con lo straniamento d’effetto, poter dire “noi facciamo l’amore così: in playback. Tutto il mondo lo fa”, e questo è vero accidenti, abbiamo imparato a canzonare noi stessi ripetendo frasi e gesti mutuati dalla tv, l’organo che ripetiamo e che ci ripete al punto da non capire più qual è l’origine delle cose o emozioni: il vero o il posticcio è la genesi? La confusione, frammentazione della verità ha portato fin qui, a non capire più se questi sentimenti ci appartengano veramente o siamo in una vorticosa balìa di oceano in cui la barca si muove ora verso il sì, ora verso il no, seguendo il dolce, ipnotico, sfuggente dondolare delle onde.
Simone Nebbia
Leggi anche la recensione di Andrea Pocosgnich su Si l’ammore no