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Premio Scenario 2017: la sfrontatezza scenica ripensa i modelli

Premio Scenario 2017: il debutto delle prime rappresentazioni a Teatri di Vita di Bologna e al Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno. Una riflessione

Foto di Stefano Vaja

137 sono i progetti presentati, di cui 70 dal Nord, 49 dal Centro e 18 dal Sud, valutati rispettivamente da 8 commissioni formate dai soci dell’Associazione; 48 le tappe di selezione, le quali sono approdate poi alla finale del premio ospitata, come di consueto, all’interno del Festival di Santarcangelo. Questi i numeri della XVI edizione del Premio Scenario che quest’anno segna il traguardo del trentennale; trent’anni in cui la direzione della Presidentessa Cristina Valenti accompagnata dalla vice presidenza di Stefano Cipiciani ha segnalato il talento innovativo di artisti e compagnie ormai di fama internazionale.
Le cifre sono importanti e non mero dato cronachistico, perché testimoniano l’attenzione verso una tappa che si ritiene passaggio necessario. Vetrina? Trampolino? Premiazione? Gara? Per quale sia la finalità che ciascun partecipante vede in questa occasione, di sicuro e dopo trent’anni, essa restituisce la temperatura di un movimento della scena che in quanto tale si modifica rispettandone e avvalorandone la natura processuale.

Foto di Stefano Vaja

I debutti delle rappresentazioni del trentennale si sono tenuti durante lo scorso primo weekend di dicembre, e con il sostegno della Regione Emilia Romagna, Ater Circuito Regionale Multidisciplinare e Fondazione del Monte, presso Teatri di Vita a Bologna e nel Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno. In un simile contesto lo sguardo critico trova la sua specificità nella comprensione e analisi di una nuova e futuribile, ma parziale, scena nazionale riconoscendo tuttavia legittimità e priorità al verdetto espresso dalla giuria  – presieduta da Marco Baliani e rappresentata da Stefano Cipiciani, Edoardo Donatini, Lisa Gilardino, Cristina Valenti e Pasquale Vita. A più riprese e nel corso di questi anni la critica ha voluto infatti rinnovare la presenza continuativa nell’osservazione delle finali, della presentazione degli studi (a Roma durante il Festival Short Theatre organizzato da Area 06 in quanto socio dell’associazione) e dei debutti di dicembre. Non una sovrapposizione di ruoli, non un commento all’assegnazione e all’investimento produttivo, quanto piuttosto la risposta a un confronto in cui il critico è chiamato come uno dei destinatari privilegiati della scelta qualitativa operata dall’Associazione Scenario.

Foto di Stefano Vaja

A identificare i quattro lavori presentati sono: «l’eterogeneità come linguaggio artistico per superare i confini delle lingue (Premio Scenario per Ustica dedicato al teatro di impegno civile promosso dall’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica), il punto di vista dell’altro per mettere in discussione la rigidità dei modelli di genere normalmente introiettati (Premio Scenario ex aequo), le piccole grandi battaglie combattute dai più piccoli contro le difficoltà personali (Premio Scenario Infanzia), una generale richiesta di ascolto che si proietta sullo spettatore, fino a diventare il fulcro di un’esplorazione percettiva e performativa (Premio Scenario ex aequo)».
Forte dell’idea di un pensiero politicamente decentrato e in grado per questo di attuare un multiracconto a più voci, è il gruppo di Shebbab Met Project nato all’interno di Cantieri Meticci, un laboratorio di azione teatrale e di quartiere attivo da anni nella città di Bologna, al quale partecipano artisti, studenti, migranti e ospiti delle strutture Sprar. I Veryferici, spettacolo vincitore del Premio Scenario per Ustica, è un titolo meticcio per uno spettacolo costruito su di una drammaturgia scenica collettiva che struttura la narrazione in una sequenza di quadri/brani. I Veryferici sono protagonisti erranti che si presentano al pubblico facendo riferimento alla loro storia come inserita in un cd composto di canzoni. La periferia è il punto di osservazione, quel “fuori” funzionale a raccontare un “dentro” che si ribella e batte come la mano sulla chitarra, canta, rumoreggia, sbeffeggia e piange, anche. È un viaggio inteso non come direzione che lega un punto ad un altro e che possiede una partenza e un arrivo, ma piuttosto come stato delle cose, azione senza approdo, carica trascinante e centrifuga di alterità in continua ridefinizione di un centro. Non un’unica lingua ma tanti e diversi linguaggi che attraversano la campagna rumena, i palazzi di Foggia e quelli di Napoli, le barricate di Gorino, il “sogno tedesco” e la disillusione di una promessa, resi scenograficamente attraverso le proiezioni di visual art. Se all’inizio, nei primi quattro quadri, la drammaturgia sembra delinearsi ordinatamente e con inventiva registica, passando da incisi rappeggianti a ballate malinconiche e invettive gridate, nel prosieguo quella stessa scrittura viene appesantita da una virata autoreferenziale. L’espediente della retorica compassionevole nei confronti del diverso e del debole («neri si nasce, negri si diventa») risulta superfluo e fuorviante ai fini di una valorizzazione dell’intento politico, in quanto esso è già manifesto tanto nella scelta dell’organico degli interpreti che nella scrittura.

Foto di Stefano Vaja

Il transito è la modalità scelta sia nella forma che nel contenuto anche da Livia Ferracchiati, artista “in luce” in questi mesi soprattutto dopo che i suoi tre ultimi spettacoli (Todi is a small town in the center of Italy, Peter Pan guarda sotto le gonne, Stabat Mater) sono stati selezionati alla Biennale Teatro 2017. Un eschimese in AmazzoniaCapitolo III della Trilogia sull’identità e vincitore Premio Scenario ex aequo, restituisce, necessitando tuttavia di ulteriori passaggi di limatura, i materiali frutto di una lunga ricerca iniziata quasi quattro anni fa e parallela per giunta alla realizzazione degli altri spettacoli. Prescindendo da eventuali riferimenti autobiografici rispetto ai quali non si riscontra bisogno alcuno di interrogazione o di trovare possibili nessi drammaturgici, puntiamo invece la nostra attenzione sulla logica del link web scelta da Ferracchiati come una sorta di ipertesto aperto a qualsiasi contenuto, da Trump a Masterchef, alla Mulino Bianco, pescando randomicamente nell’universo pop senza alcuna voluta coerenza. Scelta che, portata alle sue estreme conseguenze, rischia però di banalizzare il senso complessivo del lavoro relativizzandolo per eccesso. La stessa Ferracchiati è presente in scena come incarnazione dell’eschimese e polo al quale si rivolgono quelle “ovvietà socialmente riconosciute” recitate da un coro di quattro interpreti che agiscono sulla scena con movimenti meccanici e tonalità di voce monotòne. Nella scrittura della regista tuderte, l’eschimese delocalizzato e simbolo della personalità transgender (il titolo è tratto da una citazione dell’attivista Porpora Marcasciano) se da una parte improvvisa con fare scanzonato e accattivante per affermare la propria diversità, dall’altra cede allo stereotipo del luogo comune (come il riferimento a Lady Oscar o Holly e Benji) per potersi legittimare e/o farsi accettare da quella stessa società (Amazzonia) dalla quale scaturiscono il suo disagio e la conseguente volontà di distruzione dei modelli identitari.

Foto di Stefano Vaja

Il Premio Scenario Infanzia porta il nome della danzatrice e attrice Valentina Dal Mas che ha presentato Da dove guardi il mondo? un lavoro rigoroso, puntuale nella gestualità, che guarda al Tanztheater bauschiano, attentamente costruita per un corpo da attrice, che qui veste i panni maldestri e sinceri di una bambina di 9 anni non ancora in grado di scrivere il suo nome. Dimostrando sensibilità di ragionamento registico e di cura tanto nella scrittura del testo con battute semplici e essenziali che nella partitura dei movimenti, Dal Mas – che ha lavorato con la Compagnia Abbondanza/Bertoni e Balletto Civile – è in grado di raccontare una storia specchio di vecchi e irregimentati schemi di educazione, che implicano comportamenti codificati ai quali si risponde con un gesto risoluto nella sua autonomia e indipendenza, lo stesso di una danza giocata, marionettistica quasi, energica e birichina, appropriata a una bambina libera di trovare il suo tempo.

Foto di Stefano Vaja

Dalla serie BAU – Coreografie del pensare è lo spettacolo Bau#2 il vincitore del Premio Scenario ex aequo, della danzatrice e coreografa Barbara Berti, che ha avuto collaborazioni con performer e danzatori come Judith Seng, Tino Sehgal, Gabi Schilling e Isabelle Schad. La sua è una riflessione sull’integrazione tra corpo e mente, testo e gesto, azione e pensiero che si esplica in una partitura coreografica spinta da una struttura testuale simultaneamente recitata in parallelo col movimento. Attingendo alle pratiche orientali relative alla concezione organica della persona e alla meditazione del pensiero, del corpo e della voce, Berti tenta così di instaurare con lo spettatore una relazione magnetica e ipnotica, supportata da una riflessione sul tempo che finisce per appiattirsi nella ripetizione, in un movimento che non riesce a incidere significativamente lo spazio abitato. Sembrerebbe venir meno a questo dispositivo scenico un contesto, perimetro performativo, che possa chiarire allo spettatore la condizione che lo coinvolge e lo lega alla performer, affinché la relazione che la danzatrice si prefigge di ripensare non venga ostacolata da una sorta di velo intessuto da una danza/soliloquio chiusa nel suo pensiero concettuale, della quale resta al pubblico la sequenza mnemonica dei gesti e il rumore bianco della voce, inteso proprio come ampiezza costante di suono.

Foto di Stefano Vaja

La restituzione dei lavori, fruita in uno dei pomeriggi delle due giornate e spostandosi da Bologna a Casalecchio, ha permesso innanzitutto allo spettatore di concedersi la visione immersiva di uno scenario, appunto, che quest’anno ha scelto come strumento principe la volontà di rottura rispetto a dei modelli: sociopolitici, di genere, di educazione e di relazione teatrale. La dichiarata urgenza di questi artisti di voler portare all’attenzione tematiche quantomai presenti nel dibattito socioculturale e artistico performativo si scontra tuttavia con la difficoltà che queste scelte, politiche, comportano nella restituzione teatrale. Indubbiamente la ristrettezza delle tempistiche e delle scadenze del Premio può gravare sulla “resa” dei debutti, i quali ricordiamo sono prime rappresentazioni inserite ancora in una fase processuale che ci auguriamo possa essere dunque ulteriormente approfondita e strutturata. Del resto, anche agli artisti vincitori di Scenario negli anni passati è servito un tempo di maturazione dei lavori, di ingresso nel sistema della circuitazione che li ha poi modificati affinché riuscissero ad affermarsi a livello nazionale. Questi quattro spettacoli della sedicesima edizione vorrebbero fare propria un’azione di cesura, in questo davvero generazionale, che si faccia carico e diventi portavoce di contesti quotidiani in continuo cambiamento. La sfida? Riuscire a raccontare questo nostro tempo con la dovuta distanza autoriale e registica, che serva a non inficiare il segno drammaturgico percepito, indice di una tesa e mirabile “sfrontatezza scenica” espressa però con un linguaggio e un gesto ancora da venire.

Lucia Medri

Teatri di Vita – Bologna e Teatro Laura Betti  – Casalecchio di Reno

I VERYFERICI
Premio Scenario per Ustica
Shebbab Met Project (Bologna)

interpreti Lamin Kijera
Moussa Molla Salih
Alexandra Florentina Florea
Natalia De Martin Deppo
Youssef El Gahda
Matteo Miucci
Younes El Bouzari
Gianfilippo Di Bari
Camillo Acanfora
regia coordinata da Camillo Acanfora
drammaturgia coordinata da Natalia De Martin Deppo
visual artist Aurélia Higuet
organizzatrice e referente Angela Sciavilla

UN ESCHIMESE IN AMAZZONIA
Premio Scenario ex aequo
The Baby Walk (Milano)

ideazione e testo Liv Ferracchiati
di e con Greta Cappelletti
Laura Dondi
Liv Ferracchiati
Giacomo Marettelli Priorelli
Alice Raffaelli
tecnico Giacomo Agnifili
progetto The Baby Walk

DA DOVE GUARDI IL MONDO?
Premio Scenario Infanzia
Valentina Dal Mas (Valdagno, Vi)

regia, coreografia, interpretazione Valentina Dal Mas
tecnica Martina Ambrosini

BAU#2
dalla serie BAU – Coreografia del pensare
Premio Scenario ex aequo
Barbara Berti (Bologna)

concetto, coreografia, danza, testo Barbara Berti
dramaturg Carlotta Scioldo
assistente luci Liselotte Singer

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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