A Kilowatt Festival 2017 le creazioni di Angius | Festa feat. Woody Neri e di Qui e Ora + Silvia Gribaudi affrontano le dinamiche di famiglia e l’universo domestico. Recensione
È un moto centripeto quello che ha condotto il pubblico della quindicesima edizione di Kilowatt Festival in direzione di spazi domestici e privati: una forza che dall’agorà, dalla piazza come luogo reale e metaforico, ha sospinto i tanti spettatori incontro a gruppi di famiglia spiati in enigmatici interni, verso case edificate da atipiche comunità muliebri. Quasi a costituire un percorso divergente rispetto a una selezione di spettacoli ed eventi dal chiaro afflato civile – si pensi, pur nella diversità degli esiti e degli approcci, a La lotta al terrore di Capotrave, a Maryam del Teatro delle Albe, all’incontro dedicato alle figure femminili nell’Islam animato da Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Maria Nadotti e Silvia Moresi – alcune delle creazioni viste nelle prime giornate del festival diretto da Lucia Franchi e Luca Ricci hanno concentrato l’attenzione su quel coacervo di emozioni e silenzi, sentimenti e gesti che costituisce la fibra dei legami quotidiani e che nella casa ha il luogo primigenio di nascita e sviluppo. E tuttavia questo fulcro tematico e formale non sembra aver contraddetto la cifra fortemente politica impressa da Franchi e Ricci al cartellone: a essere evidenziata è stata piuttosto un’intima connessione tra dimensione sociale e vita privata, spesso occultata dal discorso pubblico e dalle formule condivise del linguaggio. Le performance di Angius | Festa feat. Woody Neri e di Qui e Ora + Silvia Gribaudi tentano invece di costruire un’inconsueta grammatica degli affetti, capace di svuotare di significato qualsiasi diffusa retorica sul valore del focolare e delle relazioni di sangue, nel tentativo di determinare un nuovo lessico famigliare.
Testo vincitore dell’edizione 2016/2017 del bando NDN – Network Drammaturgia Nuova, Opera sentimentale di Camilla Mattiuzzo è una commedia nera composta di trentaquattro quadri, brevi sketch che con sarcasmo beffardo tratteggiano le dinamiche relazionali di una famiglia apparentemente ordinaria: un padre, una madre, un nonno, tre figli. La giustapposizione dei folgoranti episodi non costruisce una trama coerente, bensì mira a delineare, attraverso la cifra del cinismo, quei moti d’animo e quelle emozioni che nel nucleo famigliare hanno il loro terreno più fertile. Mattiuzzo fa detonare – ricorrendo a uno stile debitore dell’estetica fumettistica, e a contaminazioni pop e pulp un po’ datate – stilemi e luoghi comuni associati ai legami sentimentali, con una forsennata e a tratti troppo dilatata parodia di situazioni universali e cliché. La morte e il desiderio sessuale, il complesso edipico e le telenovelas, l’antisemitismo e la violenza si rincorrono e sovrappongono in una trattazione volutamente superficiale, quasi a sottolineare la torsione postmoderna che ha reso questi temi più simili a slogan: «Ho un ebreo alle calcagna» assume, nella drammaturgia di Mattiuzzo, la stessa vuota valenza di «Mi si è aperto uno squarcio nel cuore».
Matteo Angius e Riccardo Festa affrontano Opera sentimentale rifiutando qualsiasi trasposizione naturalista e costruendo invece un meccanismo aperto, che sembra mostrare non l’esito bensì il processo stesso di messinscena di uno spettacolo tratto dal testo di Mattiuzzi. Sul palco dell’Auditorium Santa Chiara troneggiano soltanto tre bare, alcuni microfoni, un fondale sul quale saranno proiettati stralci della drammaturgia: Angius e Festa, in scena con Woody Neri, interpretano tutti i ruoli, scambiandoseli e affidandoseli con distacco, come attori ancora in prova. Eccedendo forse in disinvoltura, i tre amplificano le suggestioni della drammaturgia in un processo di decostruzione della stessa: leggono il copione con voce cantilenante, commentano con sguardi allusivi le vicende, si rivolgono direttamente al pubblico in sala, coinvolto nella grottesca celebrazione di un funerale. La morte accompagna i membri della famiglia così come perseguita i porcellini della celebre filastrocca infantile: e tuttavia il suo ascolto, in apertura dello spettacolo, subisce una significativa perversione dall’utilizzo che Angius, Festa e Neri compiono di alcune grottesche maschere. A tratti lupi, a tratti maiali deformi – simili ai volti dipinti da George Grosz – i tre sono vittime e carnefici, assassini e prede. L’impianto registico, quasi espressionista, affastella così elementi e soluzioni in un dispositivo che sembra soffrire della propria, surreale e immaginifica, accumulazione di idee: e la vertiginosa lista di oggetti e situazioni la cui lettura chiude lo spettacolo – «le ringhiere corrose dall’inverno inevitabile, i permessi di congedo, i fondi sbloccati sull’orlo della catastrofe…» – sembra esserne la rivelatoria epitome.
Se la casa in Opera sentimentale è al contempo campo di battaglia e cenotafio eretto per celebrarne i caduti, in My Place, creazione di Qui e Ora Residenza Teatrale diretta da Silvia Gribaudi e finalista al premio InBox 2017, essa è invece luogo della possibilità e della scoperta. È la voce di Ásgeir ad accogliere il pubblico nell’Auditorium Santa Chiara, qualche istante prima che la creazione abbia inizio: «Home, I’m making my way home / My mind’s already there / Yes, my mind is / Light, you’re with me in the dark». La canzone del cantautore islandese risuona al contempo come un invito e una constatazione, come una promessa e un’opportunità: quasi che il palcoscenico e la platea possano rappresentare una sfida alla casa, e competere con le mura domestiche sul terreno impervio dell’intimità e della sicurezza. E il sentirsi al sicuro, se stessi qualunque forma e aspetto abbia il sé in oggetto, è l’epicentro attorno al quale Francesca Albanese, Silvia Baldini e Laura Valli agiscono uno spazio scenico spoglio, occupato, già durante l’ingresso degli spettatori, soltanto dai loro corpi. In slip e reggiseno, le tre donne sono esseri non conformi, non disciplinati né disciplinabili: con libertà e disincanto ostentano una femminilità sfuggita alle maglie della taglia 42, ai diktat di una bellezza canonica e tuttavia irreale, agli imperativi di un’estetica patinata. Sono corpi politici – come da sempre lo sono quelli dell’arte di Gribaudi – proprio in virtù della loro emarginazione e dell’esclusione dall’orizzonte mediatico dominante. Insieme si detergono il collo e il seno, urlano la propria sconosciuta forza o compiono esercizi ginnici gareggiando con le proprie ombre: ma soprattutto sperimentano una dimensione ludica dello stare insieme, in cui vengono sospesi, forse cancellati, i ruoli stereotipici che il genere e l’età conferirebbero loro.
Brevi inserti video, proiettati sul fondale, mostrano le donne all’interno di un paesaggio urbano: immobili su terrazze dalle quali dominano un panorama di tetti, o mentre camminano sull’asfalto di una qualsiasi strada di periferia, Albanese, Baldini e Valli si inseriscono come ulteriori edifici – di carne e sogni – nello skyline della città. In una drammaturgia che alterna sequenze di puro movimento a frammenti in prosa, nei quali sono declinati gli infiniti e personali significati attribuibili al concetto di my place, le donne conquistano quella fiducia che le può portare a giocare con il pubblico, a lasciarsi cadere tra le braccia di sconosciuti spettatori. Le file di sedie, le quinte nere, i rettangoli di luce sagomata si tramutano così in un’abitazione accogliente: e vecchie parole – moglie, madre, casa, donna – acquisiscono una nuova, necessaria semantica.
Alessandro Iachino
Kilowatt Festival, Sansepolcro – luglio 2017
Angius | Festa feat. Woody Neri
OPERA SENTIMENTALE
di Camilla Mattiuzzo
progetto registico Matteo Angius e Riccardo Festa
interpreti Matteo Angius, Riccardo Festa, Woody Neri
video Versus (Cristiano Carotti – Desiderio)
scenografia Caterina Guia
Qui e Ora + Silvia Gribaudi
MY PLACE
con Francesca Albanese, Silvia Baldini e Laura Valli
regia Silvia Gribaudi
assistente alla regia Roberto Riseri
disegno luci Silvia Gribaudi e Domenico Cicchetti
residenze La Piccionaia Vicenza, L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino (Rn), Olinda –Teatro La Cucina Milano