Konstantin Bogomolov porta in scena all’Arena del Sole di Bologna un adattamento di Delitto e castigo, prodotto da Emilia Romagna Teatro nell’ambito delle celebrazioni del suo quarantennale di attività. Recensione
Più che una scenografia teatrale, un set cinematografico riempito da un salotto stile anni Settanta, tre schermi televisivi alle spalle, un grande comò in fondo a destra e al centro una cinepresa. Il palcoscenico dell’Arena del Sole è diventato per quattro giorni il luogo del Delitto e castigo adattato e diretto dal regista russo Konstatin Bogomolov. Celebre a livello internazionale per la maniera provocatoria e irriverente con la quale sceglie di adattare le opere classiche, il regista figlio del critico cinematografico Yuri Alexandrovich Bogomolov, presenta un lavoro che parte, senza peli sulla lingua, da un cinico ma condivisibile dato di fatto: «Il dubbio se sia giusto o meno uccidere non è più un argomento così attuale» (dall’intervista inserita in Diario di viaggio verso una messinscena dostoevskijana curato da Marzio Badalì e pubblicato da Cue Press). Al delitto non consegue necessariamente il castigo né la pena: da questo assunto si struttura il lavoro di Bogomolov sul romanzo del grande autore russo, che anche in questo caso è stato influenzato dagli studi di cinema in quanto il «testo è stato tagliato e ricomposto senza subire modifiche sostanziali»: un vero e proprio montaggio e smontaggio di frammenti.
Sempre nel suo diario, Marzio Badalì racconta che durante i giorni di prove a tavolino, svoltisi al Ridotto del Teatro Storchi di Modena, gli attori Anna Amadori, Marco Cacciola, Diana Höbel, Margherita Laterza, Leonardo Lidi, Paolo Musio, Renata Palminiello ed Enzo Vetrano venivano invitati dal regista a operare un collage delle pagine del romanzo con tanto di forbici e colla.
Immerso in una scena che sembra ricordare le ambientazioni di Pulp Fiction (pellicola alla quale Bogomolov paragona l’opera di Dostoevskij), lo spettatore abbandona subito l’immaginario oscuro della San Pietroburgo in cui è ambientato il romanzo, lasciandosi trasportare con ghigno ironico e riferimenti pornografici a ben altra atmosfera, appunto pulp e tendente anche a certi modelli caratteristici delle sitcom americane, le cui azioni tendono tutte a concentrarsi attorno al divano. Raskol’nikov (Lidi) è un giovane immigrato africano «che vive nell’indigenza in un paese che non conosce, del quale non condivide le regole sociali e religiose su cui è fondato»; sua sorella Dunja (Laterza) e la madre (Amadori) entrano in scena sulle note di Booomba, un classico dei villaggi vacanze, con indosso gli sgargianti pagne africani; Sonja (Höbel) cerca di redimere il proprio senso di colpa di prostituta offrendo a Radja conforto e aiuto persuadendolo a convertirsi al cristianesimo; Porfirij Petrovič (Musio) è un giovane istruttore attratto da Radja e per questo pronto a ricattarlo sessualmente.
A determinare negli spettatori reazioni quali borbottii o esclamazioni di disgusto o anche un “ma che c’entra?” sono proprio alcune scene che fanno riferimento a una sessualità violenta perché tenuta doverosamente a bada dalla moralità: «maggiore è l’energia sessuale inespressa, maggiore sarà l’aggressività di un individuo». Nonostante il lavoro portato avanti da Bogomolov con l’eccellente ensemble di attori – tra i quali spiccano Vetrano (Lizaveta, Marmeladov), Palminiello (Svidrigailov) e Cacciola (Nikolka) – sia stato all’insegna della sottrazione e teso ad affrancarsi dal tessuto emotivo dei personaggi seguendo l’inevitabile «logica delle battute», è proprio dai contatti sessualmente ravvicinati che traspare invece quella ferinità degli animi. Piani di analisi socio culturale e critica letteraria compongono una drammaturgia complessa nella strutturazione dei ruoli dei personaggi e delle relazioni che intercorrono tra di essi. Il solido organico di attori dà completezza e precisione a una regia che, specie nella parte relativa alle confessioni di Marmeladov e Raskol’nikov, sembra perdere di centralità drammaturgica. Se non fosse per il rispetto fedele della narrazione e dell’intreccio degli avvenimenti del romanzo, lo spettatore potrebbe essere distratto e infastidito dalla volontà autoriale di forzare la mano su alcuni inutili pretesti pornografici (vedi i numerosi riferimenti alla fellatio).
Su quest’umanità contraddittoria e melliflua che fa sorridere, smuove alla compassione e stimola il disgusto, cala dall’alto un vigoroso pesante crocifisso: simbolo di un Dio pantocratore e di una religione asfissiante che determina il peso delle azioni degli uomini. Secondo Bogomolov esisterebbero due categorie di individui, non tanto i buoni e i cattivi ma coloro i quali sono in grado di sopportare il peso del castigo e coloro che invece non lo sono.
Lucia Medri
Teatro Arena del Sole, Bologna – maggio 2017
DELITTO E CASTIGO
di Fëdor Dostoevskij
adattamento e regia Konstantin Bogomolov
traduzione Emanuela Guercetti (Giulio Einaudi Editore)
scene e costumi Larisa Lomakina
luci Tommaso Checcucci
assistente alla drammaturgia Yana Arkova
assistenti alla regia Teodoro Bonci del Bene e Mila Vanzini
con
Anna Amadori, Marco Cacciola, Diana Höbel, Margherita Laterza, Leonardo Lidi, Paolo Musio, Renata Palminiello, Enzo Vetrano
direttore tecnico Robert John Resteghini; direttore di scena Gioacchino Gramolini; capo macchinista Lorenzo Martinelli; capo elettricista Fabio Bozzetta; fonico Alberto Irrera; sarta Pierangela Rotolo; scene costruite nel laboratorio di Emilia Romagna Teatro Fondazione; capo costruttore Gioacchino Gramolini; costruttori Sergio Puzzo, Marco Fieni, Riccardo Betti; decoratori Elena Giampaoli, Lucia Bramati
produzione EMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE