L’ultimo spettacolo diretto da Luca De Filippo in scena al Teatro Argentina di Roma. Lo abbiamo visto con il progetto Spettatori Migranti. Recensione
È la prima volta che vi vedo ridere per le battute di uno spettacolo. Il titolo è Non ti pago di Eduardo De Filippo, commedia scritta nel 1940 con la regia di Luca De Filippo che con estremo rispetto per l’opera del padre lascia agli spettatori una regia accurata, vitale, punta sul ritmo e sulle sfumature di quel parlato – agito – napoletano che enfatizza la drammaturgia eduardiana ma sembra disegnare al tempo stesso un limite alla comprensione. Guardiamo la messinscena dai palchi centrali del Teatro Argentina, dall’alto, con un gruppo di dieci richiedenti asilo del Centro d’Accoglienza Straordinaria Casilina del progetto Spettatori Migranti / Attori Sociali avviato dall’inizio della stagione con il Teatro di Roma, e mentre racconto in silenzio a un ragazzo del Mali che “‘a capa” è “la testa” mi chiedo in cosa risieda il senso universale del comico. Quanto e come la comicità del teatro di Eduardo De Filippo riesca a calcare un meccanismo comune all’umano, in quale maniera eluda gli impliciti culturali trovando nelle radici di questi i suoi punti di forza.
Poi capisco, le radici. Me lo confermano all’uscita le parole di Moussa «Penso che gli africani possano capire bene la vita napoletana. Nel mio paese, infatti, viviamo a stretto contatto con la superstizione. Questa fa parte della nostra cultura, della nostra vita». Non ti pago parte dal sogno di un uomo per raccontare l’uomo stesso, e lo fa accostandosi ai suoi lati grotteschi con l’ironia del paradosso; parte dalle connotazioni comiche di un gestore di un banco lotto a Napoli che è convinto di avere ancora dei diritti sulle rivelazioni del padre defunto, per descrivere gli equilibri di una famiglia; dalla superstizione che lega due amici al gioco per parlare a una società che si muove sull’invidia, che rimane immobile nell’illusione di un futuro altro. Non ti pago è sì «una commedia molto comica che secondo me è la più tragica che io abbia mai scritto». E la regia di Luca De Filippo, ultimo atto questo prima della sua scomparsa nel novembre del 2015, ne svela l’ironia aspra, il meccanismo comico affidato al corpo degli attori, alla gestualità e all’espressione napoletana, sanguigna, che poi è pure africana, occidentale, dell’uomo.
Gianfelice Imparato è Ferdinando Quagliolo, padre di famiglia che pretenderà per sé il biglietto vincente di un pretendente della figlia, solo perché la quaterna è stata dettata al fortunato dal defunto padre di Ferdinando; l’ostinatezza e l’ironia, una a fianco all’altro, come i barattoli di conserva stipati con cura nella credenza – e rotti dall’ingresso di Mario Bertolini, energico e ispirato Massimo De Matteo. Movimenti comici che continuano nell’incedere dell’avvocato Lorenzo Strummillo, interpretato da Giovanni Allocca, personaggio grottesco che nel suo essere rocambolesco mantiene fedeltà al meccanismo. E poi le donne, donne di Napoli, donne di una famiglia che si ribella nell’animo al pater familias e alla maledizione che questi lancia contro il povero Mario Bartolini pur di non fargli ritirare la vincita; è la moglie a condensare egregiamente la condizione di rispetto e rivolta, tra colore e amarezza, Carolina Rosi nel ruolo di Concetta, poi la figlia Carmen Annibale, Viola Forestiero, Federica Altamura e Paola Fulciniti.
Lo spettacolo è compatto così come la compagnia arricchita dall’ingresso in scena di Nicola Di Pinto, Andrea Cioffi, Gianni Cannavacciuolo e Giovanni Allocca. Le scene di Gianmaurizio Fercioni e le musiche di Nicola Piovani amplificano la sinfonia di segni, mentre qui su, dai palchi, da spettatori, continuiamo a guardare gli attori, e a ridere, per quanto riesca ad essere assurdo e piccolo l’uomo.
Luca Lòtano
Teatro Argentina, Roma – marzo 2017
di Eduardo De Filippo
regia Luca De Filippo
con (in ordine di apparizione) Carolina Rosi, Viola Forestiero, Nicola Di Pinto, Federica Altamura, Andrea Cioffi, Gianfelice Imparato, Massimo De Matteo, Carmen Annibale, Paola Fulciniti, Gianni Cannavacciuolo, Giovanni Allocca
scene Gianmaurizio Fercioni
costumi Silvia Polidori
musiche Nicola Piovani
luci Stefano Stacchini
foto Masiar Pasquali